Nel 1915 Filippo Tommaso Marinetti definì il personaggio di Fortunello di Ettore Petrolini come il più vicino allo spirito futurista, dotato com’era di “ritmo meccanico e motoristico”: una sorta di marionetta che anima una scena naïf, fumettistica come l’origine di quel carattere (l’Happy Hooligan di Frederick Burr Opper, uscito poi nel 1910 sul “Corriere dei Piccoli” con il nome di Fortunello). D’altra parte, allo scoccare del “secolo breve”, Henri Bergson in Le rire (Essai sur la signification du comique) spiega che ridiamo della marionetta poiché riconosciamo in essa i gesti di un essere umano impacciato, laddove si crea uno scarto nel rapporto tra umano e meccanico. I casi di attori comici che, sulla scia della tradizione petroliniana, si “marionettizzano” o “burattinizzano” sono numerosi: erede del gesto automatico di Pulcinella o del “pazzariello” del Varietà è, ad esempio, Totò-Pinocchio, mentre Paolo Poli rappresenta l’incarnazione del parodico-fiabesco, all’interno di un teatrino di figura à la Lele Luzzati. In tutti questi casi, l’artificio della maschera comica, intesa lato sensu quale elemento rituale/teatrale e stricto sensu quale metamorfosi attoriale ottenuta tramite precise tecniche performative, rappresenta, secondo l’assunto bachtiniano, l’«immagine della morte pregna di vita». Il contributo indagherà, dunque, le “qualità disarmoniche” di tre capisaldi del teatro comico italiano novecentesco, quali Petrolini, Totò e Poli, cercando di individuare costanti e varianti di un complesso sistema performativo che, indebitato in modo più o meno manifesto con le Avanguardie storiche, distorce la vitalità e plasticità del corpo con l’irrigidimento della posa, l’automatismo della maschera, l’inciampo, la ripetizione e la cristallizzazione della smorfia.

Corpo comico, attore automatico. Le “marionette” di Petrolini, Totò, Poli

Eva Marinai
Primo
2024-01-01

Abstract

Nel 1915 Filippo Tommaso Marinetti definì il personaggio di Fortunello di Ettore Petrolini come il più vicino allo spirito futurista, dotato com’era di “ritmo meccanico e motoristico”: una sorta di marionetta che anima una scena naïf, fumettistica come l’origine di quel carattere (l’Happy Hooligan di Frederick Burr Opper, uscito poi nel 1910 sul “Corriere dei Piccoli” con il nome di Fortunello). D’altra parte, allo scoccare del “secolo breve”, Henri Bergson in Le rire (Essai sur la signification du comique) spiega che ridiamo della marionetta poiché riconosciamo in essa i gesti di un essere umano impacciato, laddove si crea uno scarto nel rapporto tra umano e meccanico. I casi di attori comici che, sulla scia della tradizione petroliniana, si “marionettizzano” o “burattinizzano” sono numerosi: erede del gesto automatico di Pulcinella o del “pazzariello” del Varietà è, ad esempio, Totò-Pinocchio, mentre Paolo Poli rappresenta l’incarnazione del parodico-fiabesco, all’interno di un teatrino di figura à la Lele Luzzati. In tutti questi casi, l’artificio della maschera comica, intesa lato sensu quale elemento rituale/teatrale e stricto sensu quale metamorfosi attoriale ottenuta tramite precise tecniche performative, rappresenta, secondo l’assunto bachtiniano, l’«immagine della morte pregna di vita». Il contributo indagherà, dunque, le “qualità disarmoniche” di tre capisaldi del teatro comico italiano novecentesco, quali Petrolini, Totò e Poli, cercando di individuare costanti e varianti di un complesso sistema performativo che, indebitato in modo più o meno manifesto con le Avanguardie storiche, distorce la vitalità e plasticità del corpo con l’irrigidimento della posa, l’automatismo della maschera, l’inciampo, la ripetizione e la cristallizzazione della smorfia.
2024
Marinai, Eva
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