La preminenza che gradualmente i cardinali a partire dall’XI secolo assunsero sul clero di Roma e sull’episcopato in ordine alla collocazione nella struttura della Chiesa e alle funzioni di governo indusse al conferimento al sacro collegio di uno statuto teologico nella prospettiva di giustificare le sue prerogative; fu così instaurato un rapporto diretto tra cardinalato e volontà divina. La maturazione di questa riflessione dal punto di vista dottrinale, analogamente a quella sul con-governo papa-cardinali, fu lenta e procedette in parallelo all’affermazione sul piano linguistico della metafora dei cardinali “pars corporis papae”; il riconoscimento della speciale posizione del collegio nella struttura ecclesiale non fu sentita come contraddittoria rispetto alle prerogative papali. La questione dello ius divinum del cardinalato non fu priva di un significato storico e dottrinale, come Giuseppe Alberigo affermava nella premessa alla sua proposta di sistemazione e lettura dei testi ad esso relativi in “Cardinalato e collegialità” del 1969; essa intrecciò storia della ecclesiologia e storia delle istituzioni, e fu oggetto di riflessione di teologi e di canonisti. Durante il Grande Scisma d’Occidente la giustificazione teologica del cardinalato fece la propria comparsa in due momenti fondamentali, entrambi in contesto conciliare: a Pisa, nel sermone di Leonardo Dati in cui fu inaugurata la celebrazione del sinodo generale, e, successivamente, a Costanza. In entrambi i casi il tema della successione apostolica non si impose come elemento di riflessione in prospettiva esclusivamente teorico-dottrinale, ma fu strumento dialettico per il conseguimento di un obiettivo concreto: la legittimazione del diritto di convocazione del concilio ad opera dei cardinali nel primo caso , la sopravvivenza stessa del collegio cardinalizio nel secondo.
Vices apostolorum in ecclesia gerentes. L'argomento della successione apostolica nel sermone di Leonardo Dati al concilio di Pisa (1409) e in Pierre d'Ailly a Costanza (1416)
Michela Guidi
2023-01-01
Abstract
La preminenza che gradualmente i cardinali a partire dall’XI secolo assunsero sul clero di Roma e sull’episcopato in ordine alla collocazione nella struttura della Chiesa e alle funzioni di governo indusse al conferimento al sacro collegio di uno statuto teologico nella prospettiva di giustificare le sue prerogative; fu così instaurato un rapporto diretto tra cardinalato e volontà divina. La maturazione di questa riflessione dal punto di vista dottrinale, analogamente a quella sul con-governo papa-cardinali, fu lenta e procedette in parallelo all’affermazione sul piano linguistico della metafora dei cardinali “pars corporis papae”; il riconoscimento della speciale posizione del collegio nella struttura ecclesiale non fu sentita come contraddittoria rispetto alle prerogative papali. La questione dello ius divinum del cardinalato non fu priva di un significato storico e dottrinale, come Giuseppe Alberigo affermava nella premessa alla sua proposta di sistemazione e lettura dei testi ad esso relativi in “Cardinalato e collegialità” del 1969; essa intrecciò storia della ecclesiologia e storia delle istituzioni, e fu oggetto di riflessione di teologi e di canonisti. Durante il Grande Scisma d’Occidente la giustificazione teologica del cardinalato fece la propria comparsa in due momenti fondamentali, entrambi in contesto conciliare: a Pisa, nel sermone di Leonardo Dati in cui fu inaugurata la celebrazione del sinodo generale, e, successivamente, a Costanza. In entrambi i casi il tema della successione apostolica non si impose come elemento di riflessione in prospettiva esclusivamente teorico-dottrinale, ma fu strumento dialettico per il conseguimento di un obiettivo concreto: la legittimazione del diritto di convocazione del concilio ad opera dei cardinali nel primo caso , la sopravvivenza stessa del collegio cardinalizio nel secondo.File | Dimensione | Formato | |
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