Nell’articolo si analizzano le coordinate di fondo della riforma monetaria concepita ed attuata da Giovanni Fabbroni nel 1803, con la quale fu introdotta in Toscana una nuova moneta (la Dena), contraddistinta da una bontà dell’intrinseco più elevata (11,5 once di fino) rispetto agli standard delle altre monete argentee della regione e della Penisola. Con tale riforma, che traeva ispirazione dagli scritti monetari di Davanzati e di Locke, si mirava a ripristinare una moneta che contemplasse congiuntamente la funzione di unità di conto e di moneta effettiva, ma soprattutto si intendeva porre le basi per circoscrivere il potere discrezionale del sovrano in materia monetaria, limitando cioè la possibilità di quest’ultimo di procedere ad un alzamento o ad un peggioramento della moneta. In questo senso, quindi, si può parlare di “costituzionalizzazione” della moneta (analogamente a quanto suggerito da Marcello de Cecco per il caso inglese). L’esito della riforma fu tuttavia deludente: i rovesci commerciali causati dal blocco continentale napoleonico, infatti, spinsero i commercianti toscani a tesaurizzare la nuova moneta (poiché contraddistinta da una maggiore bontà) e a preferire i vecchi conii lorenesi per le transazioni commerciali.
Verso una "costituzionalizzazione" della moneta per la Toscana: Giovanni Fabbroni e la riforma monetaria del 1803
CINI, MARCO
2010-01-01
Abstract
Nell’articolo si analizzano le coordinate di fondo della riforma monetaria concepita ed attuata da Giovanni Fabbroni nel 1803, con la quale fu introdotta in Toscana una nuova moneta (la Dena), contraddistinta da una bontà dell’intrinseco più elevata (11,5 once di fino) rispetto agli standard delle altre monete argentee della regione e della Penisola. Con tale riforma, che traeva ispirazione dagli scritti monetari di Davanzati e di Locke, si mirava a ripristinare una moneta che contemplasse congiuntamente la funzione di unità di conto e di moneta effettiva, ma soprattutto si intendeva porre le basi per circoscrivere il potere discrezionale del sovrano in materia monetaria, limitando cioè la possibilità di quest’ultimo di procedere ad un alzamento o ad un peggioramento della moneta. In questo senso, quindi, si può parlare di “costituzionalizzazione” della moneta (analogamente a quanto suggerito da Marcello de Cecco per il caso inglese). L’esito della riforma fu tuttavia deludente: i rovesci commerciali causati dal blocco continentale napoleonico, infatti, spinsero i commercianti toscani a tesaurizzare la nuova moneta (poiché contraddistinta da una maggiore bontà) e a preferire i vecchi conii lorenesi per le transazioni commerciali.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.