Che l’indicibilità sottesa all’espressione delle passioni, in scena, rappresenti un aspetto portante del teatro otto-novecentesco emerge dal saggio, in cui si realizza un confronto fra "La Lupa" di Verga e "La figlia di Iorio" di d’Annunzio. Due opere drammatiche che segnano il passaggio di secolo, diverse ma paragonabili per affinità tematiche e d’ambiente, attraverso cui si coglie l’intensificarsi d’una teatralità fondata principalmente sul non detto, contaminando motivi e linguaggio. Nella prima parte la prospettiva drammaturgica assume anche il punto di vista antropologico, arcaico e classico dell’“incesto”, osservando, mediante la collazione di scene in cui tale violazione si attua o si sfiora, come l’indicibilità riguardi soprattutto il campo semantico delle motivazioni che stanno dietro i fatti, espresse più che dalle parole (pur caratterizzate da reticenze e allusioni) dai silenzi, che specialmente in d’Annunzio trovano spazio privilegiato nelle didascalie. Dall’analisi, inoltre, del testo “La figlia di Iorio” emerge una drammaturgia debitrice nei confronti della “divina” Eleonora Duse, per cui la tragedia fu scritta (anche se non interpretata); l’opera sembra così recuperare e richiedere un’espressività dinamica, sfuggente, ansiosa che evade dalla linea ieratica della precedente recitazione dannunziana dell'attrice, in bilico fra stilemi che la qualificano negli esordi e altri, nuovi, che la caratterizzeranno nelle recite ibseniane.

"Passioni indicibili da Verga a d'Annunzio-Duse ('La Lupa' e 'La figlia di Iorio')"

BARSOTTI, ANNA
2010-01-01

Abstract

Che l’indicibilità sottesa all’espressione delle passioni, in scena, rappresenti un aspetto portante del teatro otto-novecentesco emerge dal saggio, in cui si realizza un confronto fra "La Lupa" di Verga e "La figlia di Iorio" di d’Annunzio. Due opere drammatiche che segnano il passaggio di secolo, diverse ma paragonabili per affinità tematiche e d’ambiente, attraverso cui si coglie l’intensificarsi d’una teatralità fondata principalmente sul non detto, contaminando motivi e linguaggio. Nella prima parte la prospettiva drammaturgica assume anche il punto di vista antropologico, arcaico e classico dell’“incesto”, osservando, mediante la collazione di scene in cui tale violazione si attua o si sfiora, come l’indicibilità riguardi soprattutto il campo semantico delle motivazioni che stanno dietro i fatti, espresse più che dalle parole (pur caratterizzate da reticenze e allusioni) dai silenzi, che specialmente in d’Annunzio trovano spazio privilegiato nelle didascalie. Dall’analisi, inoltre, del testo “La figlia di Iorio” emerge una drammaturgia debitrice nei confronti della “divina” Eleonora Duse, per cui la tragedia fu scritta (anche se non interpretata); l’opera sembra così recuperare e richiedere un’espressività dinamica, sfuggente, ansiosa che evade dalla linea ieratica della precedente recitazione dannunziana dell'attrice, in bilico fra stilemi che la qualificano negli esordi e altri, nuovi, che la caratterizzeranno nelle recite ibseniane.
2010
Barsotti, Anna
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