Il saggio parte da ciò che accomuna, per Eduardo e per Fo, il cinema e la televisione al teatro, in quanto mezzi di comunicazione artistica: la possibilità di inquadrare e di evidenziare, di selezionare un particolare del corpo dell’attore, la mimica in specie, come dell’ambiente nel suo complesso di oggetti significanti e non decorativi. E non a caso al problema del malinteso naturalismo della recitazione di Eduardo si riconnettono quello della sua capacità di mutuare dal cinema (è stato detto) la tecnica del “primo piano”, e anche quello, in molti casi conseguente, della sua capacità di “parlare senza le parole”. Codice mimico, gestico, cinesico, ma anche fonico concorrono a quest’effetto, che non ha “niente di naturalistico”, cioè descrittivo, perché “tutto era inventato” (come conferma ancora Fo) “in una straordinaria sintesi ed economia... e t’inchiodava alla sedia”. Alternava ai continui mutamenti d’espressione (che nell’insieme comunicavano l’impressione di naturalezza) dei rari gesti discreti (di cui allungava la durata). Su una fondamentale mobilità del viso innestava alcuni momenti di fissità, nei quali soltanto si coglieva la maschera; e, una volta convogliata l’attenzione (mentale binocolo o macchina da presa) sul suo volto, ricominciava a muoverlo con apparente naturalezza. Però il gioco di prestigio era fatto e il pubblico seguitava a guardare lui, il suo viso, anche se la sua recitazione rasentava l’ineffabile. Può sembrare curioso che qui si privilegi per l’operazione di analisi e di verifica proprio “Sik-Sik, l’artefice magico”, l’atto unico nato come sketch negli anni ’29-’30 del secolo scorso, all’interno della rivista “Pulcinella principe in sogno” (che debutta il 26 maggio 1939 al Teatro Nuovo di Napoli). Curioso dal punto di vista delle testimonianze sceniche e anche audiovisive, le prime scarse nonostante l’enorme successo di quel personaggio, il “sognatore” primigenio eduardiano, le seconde depauperate dalla cancellazione della registrazione televisiva dello spettacolo che pure era entrato nel primo ciclo (1962) del “Teatro di Eduardo”. D’altra parte i documenti che ci restano della recitazione eduardiana (ma non solo) di quell’opera magistrale e complessa, nella sua sintetica brevità, consentono di articolare e concludere il discorso sui “primi piani” di Eduardo dall’avanspettacolo al set, per ritornare al teatro. Documenti diversi ed appartenenti alle diverse epoche della vita artistica del grande Giucoliero: dalle riflessioni di Titina De Filippo, durante le prove della recita negli anni Trenta, al film di Gennaro Righelli, intitolato significativamente "Quei due...", perché in quella pellicola del 1935 i due attori protagonisti sono Eduardo e Peppino (affiancati non più da Titina ma dalla graziosa Assia Noris), ai commenti della segretaria di produzione, Rossana Mattioli, che rievoca l’atmosfera della ripresa da studio, andata in onda il 1° gennaio 1962, e poi cancellata dal nastro video magnetico, fino alla documentazione audiovisiva dello spettacolo offerto da Eduardo nel maggio del 1980, al Teatro Manzoni di Milano, in occasione dei festeggiamenti per i suoi ottant’anni. Dal confronto tra il film della sua giovinezza (di poco posteriore al debutto teatrale dello sketch) e quest’ultima documentazione audiovisiva (ripresa dalla scena) emerge come cambi il senso dell’opera stessa: il protagonista Sik-Sik non è più un illusionista-illuso, ma un vero artista da vecchio che ripete, con stanchezza esibita e con sprazzi di autoironia, le scene famose del suo teatro; dove però quella stanchezza che traspare dal “volto torturato da rughe simili a cicatrici”, dalle palpebre abbassate, dal rallenti dei movimenti e dai gesti accennati, si rivela piuttosto “una mortale sapienza di vita” (Garboli). Non a caso esce e rientra nella parte per dialogare con quel pubblico vero che è stato sempre il suo interlocutore principale, quel “personaggio in più” che lo stimola di quando in quando ad uscire dal cerchio magico della finzione. Confrontandosi con i giovani partners, in particolare con il figlio Luca (nella parte di Rafele, o Giacomo, che fu dello zio Peppino) e con Angelica Ippolito, figlia della moglie Isabella, Eduardo rimette mano al sogno d’un trio famigliare, d’una famiglia-compagnia in cui egli ha sempre teso a fare la parte del ‘padre’ o del ‘vecchio’. Ma al tempo stesso gioca sornione con la propria reale senilità, che diventa il perno dell’azione scenica. Accanto alla goffaggine (recitata) di Giorgetta-Angelica, e in un rapporto ritualmente antagonistico con le mosse e le intonazioni, più che ottuse, imbranate per dispetto di Rafele-Luca, il Sik-Sik di Eduardo ottantenne emerge grazie alla lentezza, fino alla fissità, dei gesti e dei movimenti sempre più stilizzati, accennati, sintetizzati. Il primo piano nasce da un contrasto coreografico e prossemico (anzitutto). La prospettiva è quella del pubblico vero seduto in sala, che tuttavia riesce a cogliere la mimica e la gestica dell’attore protagonista. Come al rallentatore il mago Eduardo si muove e si ferma, ma si rianima – segnatamente – nei momenti di difficoltà dell’artista.

"'Primi piani' di Eduardo dall'avanspettacolo al set"

BARSOTTI, ANNA
2010-01-01

Abstract

Il saggio parte da ciò che accomuna, per Eduardo e per Fo, il cinema e la televisione al teatro, in quanto mezzi di comunicazione artistica: la possibilità di inquadrare e di evidenziare, di selezionare un particolare del corpo dell’attore, la mimica in specie, come dell’ambiente nel suo complesso di oggetti significanti e non decorativi. E non a caso al problema del malinteso naturalismo della recitazione di Eduardo si riconnettono quello della sua capacità di mutuare dal cinema (è stato detto) la tecnica del “primo piano”, e anche quello, in molti casi conseguente, della sua capacità di “parlare senza le parole”. Codice mimico, gestico, cinesico, ma anche fonico concorrono a quest’effetto, che non ha “niente di naturalistico”, cioè descrittivo, perché “tutto era inventato” (come conferma ancora Fo) “in una straordinaria sintesi ed economia... e t’inchiodava alla sedia”. Alternava ai continui mutamenti d’espressione (che nell’insieme comunicavano l’impressione di naturalezza) dei rari gesti discreti (di cui allungava la durata). Su una fondamentale mobilità del viso innestava alcuni momenti di fissità, nei quali soltanto si coglieva la maschera; e, una volta convogliata l’attenzione (mentale binocolo o macchina da presa) sul suo volto, ricominciava a muoverlo con apparente naturalezza. Però il gioco di prestigio era fatto e il pubblico seguitava a guardare lui, il suo viso, anche se la sua recitazione rasentava l’ineffabile. Può sembrare curioso che qui si privilegi per l’operazione di analisi e di verifica proprio “Sik-Sik, l’artefice magico”, l’atto unico nato come sketch negli anni ’29-’30 del secolo scorso, all’interno della rivista “Pulcinella principe in sogno” (che debutta il 26 maggio 1939 al Teatro Nuovo di Napoli). Curioso dal punto di vista delle testimonianze sceniche e anche audiovisive, le prime scarse nonostante l’enorme successo di quel personaggio, il “sognatore” primigenio eduardiano, le seconde depauperate dalla cancellazione della registrazione televisiva dello spettacolo che pure era entrato nel primo ciclo (1962) del “Teatro di Eduardo”. D’altra parte i documenti che ci restano della recitazione eduardiana (ma non solo) di quell’opera magistrale e complessa, nella sua sintetica brevità, consentono di articolare e concludere il discorso sui “primi piani” di Eduardo dall’avanspettacolo al set, per ritornare al teatro. Documenti diversi ed appartenenti alle diverse epoche della vita artistica del grande Giucoliero: dalle riflessioni di Titina De Filippo, durante le prove della recita negli anni Trenta, al film di Gennaro Righelli, intitolato significativamente "Quei due...", perché in quella pellicola del 1935 i due attori protagonisti sono Eduardo e Peppino (affiancati non più da Titina ma dalla graziosa Assia Noris), ai commenti della segretaria di produzione, Rossana Mattioli, che rievoca l’atmosfera della ripresa da studio, andata in onda il 1° gennaio 1962, e poi cancellata dal nastro video magnetico, fino alla documentazione audiovisiva dello spettacolo offerto da Eduardo nel maggio del 1980, al Teatro Manzoni di Milano, in occasione dei festeggiamenti per i suoi ottant’anni. Dal confronto tra il film della sua giovinezza (di poco posteriore al debutto teatrale dello sketch) e quest’ultima documentazione audiovisiva (ripresa dalla scena) emerge come cambi il senso dell’opera stessa: il protagonista Sik-Sik non è più un illusionista-illuso, ma un vero artista da vecchio che ripete, con stanchezza esibita e con sprazzi di autoironia, le scene famose del suo teatro; dove però quella stanchezza che traspare dal “volto torturato da rughe simili a cicatrici”, dalle palpebre abbassate, dal rallenti dei movimenti e dai gesti accennati, si rivela piuttosto “una mortale sapienza di vita” (Garboli). Non a caso esce e rientra nella parte per dialogare con quel pubblico vero che è stato sempre il suo interlocutore principale, quel “personaggio in più” che lo stimola di quando in quando ad uscire dal cerchio magico della finzione. Confrontandosi con i giovani partners, in particolare con il figlio Luca (nella parte di Rafele, o Giacomo, che fu dello zio Peppino) e con Angelica Ippolito, figlia della moglie Isabella, Eduardo rimette mano al sogno d’un trio famigliare, d’una famiglia-compagnia in cui egli ha sempre teso a fare la parte del ‘padre’ o del ‘vecchio’. Ma al tempo stesso gioca sornione con la propria reale senilità, che diventa il perno dell’azione scenica. Accanto alla goffaggine (recitata) di Giorgetta-Angelica, e in un rapporto ritualmente antagonistico con le mosse e le intonazioni, più che ottuse, imbranate per dispetto di Rafele-Luca, il Sik-Sik di Eduardo ottantenne emerge grazie alla lentezza, fino alla fissità, dei gesti e dei movimenti sempre più stilizzati, accennati, sintetizzati. Il primo piano nasce da un contrasto coreografico e prossemico (anzitutto). La prospettiva è quella del pubblico vero seduto in sala, che tuttavia riesce a cogliere la mimica e la gestica dell’attore protagonista. Come al rallentatore il mago Eduardo si muove e si ferma, ma si rianima – segnatamente – nei momenti di difficoltà dell’artista.
2010
Barsotti, Anna
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/141722
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