Nel 1544 usciva a Basilea l’editio princeps greco-latina di gran parte dei testi di Archimede oggi noti e dei relativi commentari di Eutocio. Senza tema di esagerare, si può sostenere che questo avvenimento — al pari della pubblicazione del De revolutionibus orbium cælestium di Niccolò Copernico, apparso l’anno precedente a Norimberga — abbia fornito un forte impulso alla nascita della scienza moderna: grazie a tale stampa, il Siracusano poteva finalmente abbandonare gli scaffali delle biblioteche erudite e parlare direttamente ai filosofi naturali, ai matematici, agli ingegneri. Fu l’Archimede latino di Basilea che conobbe e studiò il giovane Galileo; fu questo stesso Archimede che, sullo scorcio del sec. XVI e nei primi anni del sec. XVII, ispirò un radicale cambiamento nel modo di intendere la matematica. Sebbene tutti gli studiosi concordino sull’importanza dell’edizione del 1544, si è finora dedicata scarsa attenzione all’artefice di questa riscoperta archimedea, il cremonese Iacopo da San Cassiano. Eppure, assegnare a Iacopo e all’Archimede latino il ruolo che gli compete nel revival matematico prodottosi tra Quattrocento e Cinquecento significa stabilire basi sicure per studiare la nascita della scienza moderna. Con questo intento la prima parte del volume di Paolo d’Alessandro e di Pier Daniele Napolitani («Iacopo di San Cassiano traduttore di Archimede») segue Iacopo nei suoi viaggi dalla «Giocosa» di Vittorino allo Studio di Pavia e dalla corte dei Gonzaga a quella papale di Niccolò V, cercando di mettere in luce le frequentazioni in cui andò maturando la traduzione del corpus archimedeo e i contesti in cui essa si diffuse nella seconda metà del Quattrocento. Ne emerge da un lato la vivacità culturale degli ambienti universitari pavese e mantovano e dei circoli umanistici milanese, bolognese, ferrarese e romano, spesso attraversati da violente polemiche tra i rispettivi protagonisti; dall’altro la poliedricità del circolo del Bessarione, l’acribia filologica del miglior matematico del tempo, Giovanni Regiomontano, e la curiosità scientifica di artisti e tecnici del calibro di Piero della Francesca, di Francesco dal Borgo e di Leonardo da Vinci. Nella seconda parte («La traduzione di Archimede») sono esaminate le testimonianze contemporanee sulla versione latina, concordi nel riconoscere a Iacopo da San Cassiano la paternità di un’opera che, a quei tempi, poteva apparire stravagante a uomini come il dotto patriarca di Venezia Gregorio Correr. L’analisi della tradizione manoscritta permette di individuare tra i codici superstiti non solo il primum exemplar della traduzione, cioè la bozza autografa dell’umanistica cremonese, ma anche la copia su cui il giovane Regiomontano, partendo da un codice bessarioneo ora conservato alla Biblioteca Marciana, condusse un intenso lavoro di revisione del testo e delle figure geometriche destinato a confluire nell’editio princeps del 1544, e ancora i due manoscritti su cui gli illustri cugini di Sansepolcro Francesco dal Borgo e Piero della Francesca appagarono il proprio interesse per l’opera del matematico greco, verificandone le costruzioni geometriche in spirito di stretta collaborazione. Ma da quale modello traduceva Iacopo? Che tipo di traduttore ci dipinge il suo autografo ritrovato? Secondo Johan Ludvig Heiberg, Iacopo avrebbe utilizzato per il suo lavoro un codice del sec. IX, lo stesso che pervenne poi in possesso di Giorgio Valla ed è oggi noto come “codice A”. La terza parte del libro («Iacopo e la tradizione archimedea») è dedicata a una disamina di questa tesi e di quelle avanzate successivamente da Marshall Clagett, convinto che Iacopo avesse conosciuto e utilizzato la precedente traduzione latina medievale risalente a Guglielmo di Moerbeke. I risultati di tale esame e lo studio di vari luoghi dell’opera del Cremonese, confrontati con la lezione degli altri testimoni archimedei, porta invece a concludere che Iacopo non soltanto prescinde dal precedente di Guglielmo, ma utilizza un esemplare greco diverso e indipendente dal vetusto codice bizantino di proprietà del Valla. Proprio per questo motivo la sua traduzione apre interessanti prospettive anche in relazione a una piú corretta ricostruzione del testo e del pensiero di Archimede. Intorno a Iacopo e alle sue fatiche archimedee si dipinge cosí un quadro assai complesso e per molti aspetti inedito, che merita di essere studiato da vicino. Per questo, nella parte quarta («Un’edizione a mo’ di esempio»), il testo critico della Dimensio circuli e della Quadratura parabolæ dà agio al lettore di valutare direttamente i tanti aspetti affrontati nelle pagine precedenti. Corredata da un triplice apparato critico, dalla traduzione italiana a fronte e da succinte note di commento, l’edizione permette infatti di seguire, di volta in volta, le oscillazioni di Iacopo come traduttore, le divergenze rispetto alla tradizione greca superstite, la successiva trasmissione del testo. Un’apposita «Appendice» in calce al volume fornisce, per completezza, le notizie essenziali sui testimoni manoscritti e le lectiones singulares dei codices descripti, generalmente esclusi dall’apparato.

Archimede Latino. Iacopo da San Cassiano e il corpus archimedeo alla metà del Quattrocento. Con edizione della "Circuli dimensio" e della "Quadratura parabolae"

NAPOLITANI, PIER DANIELE;
2012-01-01

Abstract

Nel 1544 usciva a Basilea l’editio princeps greco-latina di gran parte dei testi di Archimede oggi noti e dei relativi commentari di Eutocio. Senza tema di esagerare, si può sostenere che questo avvenimento — al pari della pubblicazione del De revolutionibus orbium cælestium di Niccolò Copernico, apparso l’anno precedente a Norimberga — abbia fornito un forte impulso alla nascita della scienza moderna: grazie a tale stampa, il Siracusano poteva finalmente abbandonare gli scaffali delle biblioteche erudite e parlare direttamente ai filosofi naturali, ai matematici, agli ingegneri. Fu l’Archimede latino di Basilea che conobbe e studiò il giovane Galileo; fu questo stesso Archimede che, sullo scorcio del sec. XVI e nei primi anni del sec. XVII, ispirò un radicale cambiamento nel modo di intendere la matematica. Sebbene tutti gli studiosi concordino sull’importanza dell’edizione del 1544, si è finora dedicata scarsa attenzione all’artefice di questa riscoperta archimedea, il cremonese Iacopo da San Cassiano. Eppure, assegnare a Iacopo e all’Archimede latino il ruolo che gli compete nel revival matematico prodottosi tra Quattrocento e Cinquecento significa stabilire basi sicure per studiare la nascita della scienza moderna. Con questo intento la prima parte del volume di Paolo d’Alessandro e di Pier Daniele Napolitani («Iacopo di San Cassiano traduttore di Archimede») segue Iacopo nei suoi viaggi dalla «Giocosa» di Vittorino allo Studio di Pavia e dalla corte dei Gonzaga a quella papale di Niccolò V, cercando di mettere in luce le frequentazioni in cui andò maturando la traduzione del corpus archimedeo e i contesti in cui essa si diffuse nella seconda metà del Quattrocento. Ne emerge da un lato la vivacità culturale degli ambienti universitari pavese e mantovano e dei circoli umanistici milanese, bolognese, ferrarese e romano, spesso attraversati da violente polemiche tra i rispettivi protagonisti; dall’altro la poliedricità del circolo del Bessarione, l’acribia filologica del miglior matematico del tempo, Giovanni Regiomontano, e la curiosità scientifica di artisti e tecnici del calibro di Piero della Francesca, di Francesco dal Borgo e di Leonardo da Vinci. Nella seconda parte («La traduzione di Archimede») sono esaminate le testimonianze contemporanee sulla versione latina, concordi nel riconoscere a Iacopo da San Cassiano la paternità di un’opera che, a quei tempi, poteva apparire stravagante a uomini come il dotto patriarca di Venezia Gregorio Correr. L’analisi della tradizione manoscritta permette di individuare tra i codici superstiti non solo il primum exemplar della traduzione, cioè la bozza autografa dell’umanistica cremonese, ma anche la copia su cui il giovane Regiomontano, partendo da un codice bessarioneo ora conservato alla Biblioteca Marciana, condusse un intenso lavoro di revisione del testo e delle figure geometriche destinato a confluire nell’editio princeps del 1544, e ancora i due manoscritti su cui gli illustri cugini di Sansepolcro Francesco dal Borgo e Piero della Francesca appagarono il proprio interesse per l’opera del matematico greco, verificandone le costruzioni geometriche in spirito di stretta collaborazione. Ma da quale modello traduceva Iacopo? Che tipo di traduttore ci dipinge il suo autografo ritrovato? Secondo Johan Ludvig Heiberg, Iacopo avrebbe utilizzato per il suo lavoro un codice del sec. IX, lo stesso che pervenne poi in possesso di Giorgio Valla ed è oggi noto come “codice A”. La terza parte del libro («Iacopo e la tradizione archimedea») è dedicata a una disamina di questa tesi e di quelle avanzate successivamente da Marshall Clagett, convinto che Iacopo avesse conosciuto e utilizzato la precedente traduzione latina medievale risalente a Guglielmo di Moerbeke. I risultati di tale esame e lo studio di vari luoghi dell’opera del Cremonese, confrontati con la lezione degli altri testimoni archimedei, porta invece a concludere che Iacopo non soltanto prescinde dal precedente di Guglielmo, ma utilizza un esemplare greco diverso e indipendente dal vetusto codice bizantino di proprietà del Valla. Proprio per questo motivo la sua traduzione apre interessanti prospettive anche in relazione a una piú corretta ricostruzione del testo e del pensiero di Archimede. Intorno a Iacopo e alle sue fatiche archimedee si dipinge cosí un quadro assai complesso e per molti aspetti inedito, che merita di essere studiato da vicino. Per questo, nella parte quarta («Un’edizione a mo’ di esempio»), il testo critico della Dimensio circuli e della Quadratura parabolæ dà agio al lettore di valutare direttamente i tanti aspetti affrontati nelle pagine precedenti. Corredata da un triplice apparato critico, dalla traduzione italiana a fronte e da succinte note di commento, l’edizione permette infatti di seguire, di volta in volta, le oscillazioni di Iacopo come traduttore, le divergenze rispetto alla tradizione greca superstite, la successiva trasmissione del testo. Un’apposita «Appendice» in calce al volume fornisce, per completezza, le notizie essenziali sui testimoni manoscritti e le lectiones singulares dei codices descripti, generalmente esclusi dall’apparato.
2012
Napolitani, PIER DANIELE; D'Alessandro, Paolo
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