Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è stato descritto originariamente come un disturbo dell’infanzia e dell’adolescenza. Numerose evidenze supportano, oggi, una continuità sindromica fra infanzia, adolescenza ed età adulta. L’identificazione dei soggetti adulti con ADHD pone numerose problematiche di diagnosi differenziale. Nell’adulto, infatti, l’ADHD tende a presentarsi spesso associato a disturbi dell’umore e/o disturbi da uso di sostanze, almeno nelle casistiche cliniche che giungono all’osservazione dello psichiatra. Non è ancora chiaro se esista un pattern sintomatologico dell’ADHD specifico dell’età adulta che si esprime prevalentemente attraverso i deficit attentivi e le manifestazioni comportamentali conseguenti, piuttosto che con l’iperattività. La comorbilità, a sua volta, influenza quadro clinico, gravità, storia naturale, prognosi, trattamento. In particolare, ADHD, disturbo bipolare e abuso di sostanze coesistono in un numero rilevante di casi, venendo a costituire uno specifico fenotipo, spesso resistente ai trattamenti. L’uso di sostanze, talora multiple, comprende alcol, cocaina, stimolanti ed eroina; inevitabilmente complica il decorso e la scelta del trattamento. La diagnosi di ADHD nell’adulto, in forma residua o incompleta, ha implicazioni profonde sul piano terapeutico. Psicostimolanti e altri composti ad azione specifica sulla sintomatologia dell’ADHD si sono rivelati utili anche nell’adulto e trovano indicazione in queste forme, sia in monoterapia sia in associazione con altri farmaci, come per esempio gli stabilizzanti dell’umore. Tuttavia è necessaria cautela nel loro impiego quando coesiste un disturbo dell’umore, per la possibile induzione di viraggi maniacali o di rapida ciclicità. Ulteriori ricerche sono necessarie per meglio definire le caratteristiche cliniche del disturbo nell’adulto e per elaborare programmi terapeutici universalmente riconosciuti.
[Adult ADHD: clinical aspects and therapeutic implications]
PERUGI, GIULIO;DELL'OSSO, LILIANA
2012-01-01
Abstract
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è stato descritto originariamente come un disturbo dell’infanzia e dell’adolescenza. Numerose evidenze supportano, oggi, una continuità sindromica fra infanzia, adolescenza ed età adulta. L’identificazione dei soggetti adulti con ADHD pone numerose problematiche di diagnosi differenziale. Nell’adulto, infatti, l’ADHD tende a presentarsi spesso associato a disturbi dell’umore e/o disturbi da uso di sostanze, almeno nelle casistiche cliniche che giungono all’osservazione dello psichiatra. Non è ancora chiaro se esista un pattern sintomatologico dell’ADHD specifico dell’età adulta che si esprime prevalentemente attraverso i deficit attentivi e le manifestazioni comportamentali conseguenti, piuttosto che con l’iperattività. La comorbilità, a sua volta, influenza quadro clinico, gravità, storia naturale, prognosi, trattamento. In particolare, ADHD, disturbo bipolare e abuso di sostanze coesistono in un numero rilevante di casi, venendo a costituire uno specifico fenotipo, spesso resistente ai trattamenti. L’uso di sostanze, talora multiple, comprende alcol, cocaina, stimolanti ed eroina; inevitabilmente complica il decorso e la scelta del trattamento. La diagnosi di ADHD nell’adulto, in forma residua o incompleta, ha implicazioni profonde sul piano terapeutico. Psicostimolanti e altri composti ad azione specifica sulla sintomatologia dell’ADHD si sono rivelati utili anche nell’adulto e trovano indicazione in queste forme, sia in monoterapia sia in associazione con altri farmaci, come per esempio gli stabilizzanti dell’umore. Tuttavia è necessaria cautela nel loro impiego quando coesiste un disturbo dell’umore, per la possibile induzione di viraggi maniacali o di rapida ciclicità. Ulteriori ricerche sono necessarie per meglio definire le caratteristiche cliniche del disturbo nell’adulto e per elaborare programmi terapeutici universalmente riconosciuti.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.