Alcuino di York scrisse tra il 799 e l’804 il “manualetto” De virtutibus et vitiis, scritto parenetico suddiviso in 35 capitoli. Il trattato si suddivide in due parti principali: la prima riguarda un’esposizione delle norme morali elencate in 26 capitoli, mentre la seconda è dedicata ai vizi principali, alla determinazione del concetto di virtus e ad un catalogo delle virtù cardinali. Alla definizione dei peccati capitali per mezzo di una perifrasi delle forme in cui essi compaiono e un elenco di “vizi derivati” da quelli dipendenti, segue ogni volta la virtù complementare con la quale sconfiggere il vizio, mentre alla trattazione della vana gloria si unisce un riassunto che funge anche da premessa all’illustrazione delle 4 virtù cardinali del cap. 35°. L’organizzazione schematica dell’opera palesa immediati raffronti con la letteratura dottrinale dell’alto Medioevo cristiano, composta tra l’altro di cataloghi di precetti ed ammonizioni, di formulazioni morali e penitenziali risalenti ad una tradizione che va da Agostino a Gregorio Magno, da Cassiano a Beda, a Cesario di Ârles, ad Isidoro. L’indiscusso successo del Liber è riflesso, tra l’alro, nel grande numero di manoscritti (più di 100) che tramandano il testo del Trattato. Già nella prima edizione completa delle opere di Alcuino, datata 1617, l’intero testo del Liber rappresenta, di fatto, una scelta operata dall’editore Duchesne tra le varie possibilità esistenti. Nella stessa edizione di Forster (1777) , forse la più famosa e comunemente accettata, vennero utilizzati compessivamente 5 codici, con una scelta limitata e occasionale, spesso dettata da esigenze editoriali particolari. Ne consegue che oggi è evidentemente impossibile, per lo studioso, stabilire con assoluta certezza il valore delle singole lezioni, in particolare per quanto concerne il rapporto tra il testo latino e le sue traduzioni nelle varie tradizioni germaniche.

Osservazioni sulla tradizione del 'Liber de virtutibus et vitiis' in Scandinavia

BATTAGLIA, MARCO
1995-01-01

Abstract

Alcuino di York scrisse tra il 799 e l’804 il “manualetto” De virtutibus et vitiis, scritto parenetico suddiviso in 35 capitoli. Il trattato si suddivide in due parti principali: la prima riguarda un’esposizione delle norme morali elencate in 26 capitoli, mentre la seconda è dedicata ai vizi principali, alla determinazione del concetto di virtus e ad un catalogo delle virtù cardinali. Alla definizione dei peccati capitali per mezzo di una perifrasi delle forme in cui essi compaiono e un elenco di “vizi derivati” da quelli dipendenti, segue ogni volta la virtù complementare con la quale sconfiggere il vizio, mentre alla trattazione della vana gloria si unisce un riassunto che funge anche da premessa all’illustrazione delle 4 virtù cardinali del cap. 35°. L’organizzazione schematica dell’opera palesa immediati raffronti con la letteratura dottrinale dell’alto Medioevo cristiano, composta tra l’altro di cataloghi di precetti ed ammonizioni, di formulazioni morali e penitenziali risalenti ad una tradizione che va da Agostino a Gregorio Magno, da Cassiano a Beda, a Cesario di Ârles, ad Isidoro. L’indiscusso successo del Liber è riflesso, tra l’alro, nel grande numero di manoscritti (più di 100) che tramandano il testo del Trattato. Già nella prima edizione completa delle opere di Alcuino, datata 1617, l’intero testo del Liber rappresenta, di fatto, una scelta operata dall’editore Duchesne tra le varie possibilità esistenti. Nella stessa edizione di Forster (1777) , forse la più famosa e comunemente accettata, vennero utilizzati compessivamente 5 codici, con una scelta limitata e occasionale, spesso dettata da esigenze editoriali particolari. Ne consegue che oggi è evidentemente impossibile, per lo studioso, stabilire con assoluta certezza il valore delle singole lezioni, in particolare per quanto concerne il rapporto tra il testo latino e le sue traduzioni nelle varie tradizioni germaniche.
1995
Battaglia, Marco
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