La morte in scena riemerge nel panorama teatrale dal Novecento al Duemila sull’onda dei generi misti, che mescolano tragico e comico o gesto, danza, parola, canto. Il processo di “epicizzazione del dramma” (Szondi), illustrato e parzialmente reso didattico da Brecht, confluendo nel “post-drammatico” secondo Lehmann − inclinazione all’estremo, deformazione fisica e psichica, disorientamento dell’attore e dello spettatore, tensione al paradosso, non-gerarchizzazione dei segni teatrali, “l’experiénce de la simultanéité”, la musicalizzazione –, non esita a incrementare misture e contaminazioni (musica, danza e videoarte) nel nuovo teatro dell’ultimo trentennio novecentesco e in quello del secondo millennio. In tale contesto, privilegiando l'ostensione della morte, il saggio mette a confronto, da un lato, le tragicommedie della “Trilogia della famiglia siciliana” di Emma Dante – mPalermu, Carnezzeria, Vita mia (2001-2004) – e, dall’altro, la performance, priva di supporto drammaturgico testuale, Preparatio mortis (2010), del fiammingo Jan Fabre. L'analisi mostra come soprattutto Vita mia della Dante e Preparatio mortis di Fabre possano dirsi esemplari del modo contemporaneo di un’esposizione funebre: in foggia poetico-visionaria, con contaminazioni grottesche, l’una; aggressivamente formalizzata, eppure generata da una materiale sensorialità, l’altra. Il Sud e il Nord, apparentemente disfocali, s’incontrano (pur differenziandosi) nel legame con il rispettivo genius loci: l’isola metaforica per la Dante, con le sue tradizioni e tabù da violentemente esibire e stigmatizzare; la carnalità della pittura fiamminga, per Fabre, con la sua costante (nel tempo) tematica dei corpi in metamorfosi.
Dalla Sicilia al Nord Europa: la morte in scena al femminile e nel femminile
BARSOTTI, ANNA
2014-01-01
Abstract
La morte in scena riemerge nel panorama teatrale dal Novecento al Duemila sull’onda dei generi misti, che mescolano tragico e comico o gesto, danza, parola, canto. Il processo di “epicizzazione del dramma” (Szondi), illustrato e parzialmente reso didattico da Brecht, confluendo nel “post-drammatico” secondo Lehmann − inclinazione all’estremo, deformazione fisica e psichica, disorientamento dell’attore e dello spettatore, tensione al paradosso, non-gerarchizzazione dei segni teatrali, “l’experiénce de la simultanéité”, la musicalizzazione –, non esita a incrementare misture e contaminazioni (musica, danza e videoarte) nel nuovo teatro dell’ultimo trentennio novecentesco e in quello del secondo millennio. In tale contesto, privilegiando l'ostensione della morte, il saggio mette a confronto, da un lato, le tragicommedie della “Trilogia della famiglia siciliana” di Emma Dante – mPalermu, Carnezzeria, Vita mia (2001-2004) – e, dall’altro, la performance, priva di supporto drammaturgico testuale, Preparatio mortis (2010), del fiammingo Jan Fabre. L'analisi mostra come soprattutto Vita mia della Dante e Preparatio mortis di Fabre possano dirsi esemplari del modo contemporaneo di un’esposizione funebre: in foggia poetico-visionaria, con contaminazioni grottesche, l’una; aggressivamente formalizzata, eppure generata da una materiale sensorialità, l’altra. Il Sud e il Nord, apparentemente disfocali, s’incontrano (pur differenziandosi) nel legame con il rispettivo genius loci: l’isola metaforica per la Dante, con le sue tradizioni e tabù da violentemente esibire e stigmatizzare; la carnalità della pittura fiamminga, per Fabre, con la sua costante (nel tempo) tematica dei corpi in metamorfosi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.