L'associazione tra contratto e giustizia non appartiene a un tempo e a un luogo preciso, ma alla costituzione materiale dell'autonomia privata. Le istituzioni si fondano su un’idea di giustizia e il contratto non fa eccezione, si tratti poi di un parametro esterno (l’ethos della comunità, il iustum praetium, l’eguaglianza sostanziale, la massima utilità complessiva) o autoreferenziale (nelle varianti antiche e moderne del contrattualismo). Tralasciando per un istante le implicazioni di questa dialettica, il paradosso della giustizia contrattuale suona così: la giustizia è il fondamento del contratto, ma chi o cosa fonda la giustizia, considerando la pluralità delle intuizioni teoriche e realizzazioni storiche di un’idea «tanto poco definibile quanto sono quelli di buono e di male: essa è solo un modello nell’aggrovigliato intreccio della nostra esistenza storico-terrena» (Raiser). Nell’anno zero della Germania, Raiser aggiungeva un altro tassello alla fenomenologia riflessiva della giustizia, immaginata come una relazione inversa tra il peso riconosciuto al principio di eguaglianza nell’autonomia contrattuale e il potere degli attori economici, preludio al modello renano di Sozialmarktwirtschaft: l’eguaglianza in senso forte e materiale che s’impone dove «non si tratta più di creare un equilibrio tra domanda e offerta, ma di ripartire la scarsità », trascorre nell’idea meno invasiva, ma ancora sostanziale, del fondamento di obblighi di pari trattamento collegati all’eserci- zio di una situazione di supremazia e infine sco- lora nella garanzia di parità di accesso in regime di libera concorrenza per «tutti coloro che prendono parte alla circolazione giuridica, senza perseguire l’eguaglianza nella ripartizione dei beni ». Dipanando fino ai giorni nostri il filo di questa intuizione, ci si può domandare se lo stato dell’arte del diritto non giustifichi un ripensamento dell’attitudine relativizzante e pragmatica nei confronti del tema della giustizia del contratto e, di riflesso, l’apertura alternativamente al sindacato giudiziale sull’equilibrio delle prestazioni o alla illegittimità di qualsiasi intervento normativo che non si limiti a garantire l’autenticità del processo di autodeterminazione, così da ottenere un rispecchiamento tra (gli effetti del) contratto e (un’idea di) giustizia. Se la « giustizia contrattuale » è oggi una parola d’ordine tanto fortunata quanto la « morte del contratto » un tempo — al punto che il discorso odierno pare quasi un’edizione riveduta e aggiornata del vecchio —, la ricorsività a lungo andare degli argomenti a favore e in contrario suggerisce cautela. Non di rado gli eterni dilemmi dissimulano pseudo-problemi e questioni almeno in parte mal poste.

Giustizia Contrattuale

CALDERAI, VALENTINA
2014-01-01

Abstract

L'associazione tra contratto e giustizia non appartiene a un tempo e a un luogo preciso, ma alla costituzione materiale dell'autonomia privata. Le istituzioni si fondano su un’idea di giustizia e il contratto non fa eccezione, si tratti poi di un parametro esterno (l’ethos della comunità, il iustum praetium, l’eguaglianza sostanziale, la massima utilità complessiva) o autoreferenziale (nelle varianti antiche e moderne del contrattualismo). Tralasciando per un istante le implicazioni di questa dialettica, il paradosso della giustizia contrattuale suona così: la giustizia è il fondamento del contratto, ma chi o cosa fonda la giustizia, considerando la pluralità delle intuizioni teoriche e realizzazioni storiche di un’idea «tanto poco definibile quanto sono quelli di buono e di male: essa è solo un modello nell’aggrovigliato intreccio della nostra esistenza storico-terrena» (Raiser). Nell’anno zero della Germania, Raiser aggiungeva un altro tassello alla fenomenologia riflessiva della giustizia, immaginata come una relazione inversa tra il peso riconosciuto al principio di eguaglianza nell’autonomia contrattuale e il potere degli attori economici, preludio al modello renano di Sozialmarktwirtschaft: l’eguaglianza in senso forte e materiale che s’impone dove «non si tratta più di creare un equilibrio tra domanda e offerta, ma di ripartire la scarsità », trascorre nell’idea meno invasiva, ma ancora sostanziale, del fondamento di obblighi di pari trattamento collegati all’eserci- zio di una situazione di supremazia e infine sco- lora nella garanzia di parità di accesso in regime di libera concorrenza per «tutti coloro che prendono parte alla circolazione giuridica, senza perseguire l’eguaglianza nella ripartizione dei beni ». Dipanando fino ai giorni nostri il filo di questa intuizione, ci si può domandare se lo stato dell’arte del diritto non giustifichi un ripensamento dell’attitudine relativizzante e pragmatica nei confronti del tema della giustizia del contratto e, di riflesso, l’apertura alternativamente al sindacato giudiziale sull’equilibrio delle prestazioni o alla illegittimità di qualsiasi intervento normativo che non si limiti a garantire l’autenticità del processo di autodeterminazione, così da ottenere un rispecchiamento tra (gli effetti del) contratto e (un’idea di) giustizia. Se la « giustizia contrattuale » è oggi una parola d’ordine tanto fortunata quanto la « morte del contratto » un tempo — al punto che il discorso odierno pare quasi un’edizione riveduta e aggiornata del vecchio —, la ricorsività a lungo andare degli argomenti a favore e in contrario suggerisce cautela. Non di rado gli eterni dilemmi dissimulano pseudo-problemi e questioni almeno in parte mal poste.
2014
9788814192647
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/596071
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