Pubblicato il 20 febbraio 1991 ed entrato in vigore un mese più tardi, il codice penale sudanese appare, fin dai suoi primi articoli, fortemente connotato dalla presenza di precisi e costanti richiami a nozioni e istituti della tradizione giuridica islamica. Oltre ai consueti problemi generali posti dall’uso della lingua specialistica, e a quelli riconducibili ad alcune caratteristiche della lingua araba, chi si cimenta nella traduzione di questo codice è pertanto spesso chiamato a risolvere la spinosa questione della corrispondenza tra «unità di significato» della lingua di origine e analoghe unità di significato della lingua di arrivo rispetto a «nozioni», o «unità concettuali», solo parzialmente o per nulla condivise. Da qui la necessità di adottare di volta in volta strategie diverse per rendere in italiano le nozioni che non hanno equivalente nella nostra tradizione giuridica. Le varie situazioni che si delineano lungo tutto il codice possono essere ricondotte a un numero limitato di casi. Il più frequente è quello della nozione espressa con lessema unico in arabo che non trova corrispondenza in alcun lessema unico dell’italiano. Le soluzioni adottate in tali circostanze spaziano dal ricorso a più lessemi italiani (p.es. «pena coranica» per hadd, «pena discrezionale» per ta‘zīr, «caso dubbio» per šubha, «valore minimo» per nisāb), all’uso di un lessema unico italiano integrato da una spiegazione a parte (p. es. «giuramento» per li‘ān e «gruppo» per ‘āqila), al mantenimento in traduzione del lessema arabo, rispetto al quale, ancora una volta, dev’essere integrata una spiegazione (walī, wilāya e ghurra). Vi è poi il caso della nozione espressa in arabo da una coppia di lessemi resi in traduzione italiana, seguendo ragionamenti diversi, con un lessema unico (p.es. «persona» per an-nafs wa-l-ğism e «mentale» per ‘aqlī wa-nafsī). Un ultimo caso degno di nota, sebbene di natura più composita, è quello ben esemplificato dalle due tavole in appendice al codice e da alcuni suoi articoli. Qui integrazioni e spiegazioni sono rese necessarie non solo dalla mancata corrispondenza tra nozioni e unità lessicali nelle due lingue, ma anche dalla forma specifica in cui si sviluppa il discorso nella lingua di partenza, volto a quella particolare concisione tipica delle fonti e dei trattati classici di giurisprudenza e che, a distanza di tempo, crea non poche ambiguità.

Il codice penale della Repubblica del Sudan

BAGATIN, MAURIZIO
2011-01-01

Abstract

Pubblicato il 20 febbraio 1991 ed entrato in vigore un mese più tardi, il codice penale sudanese appare, fin dai suoi primi articoli, fortemente connotato dalla presenza di precisi e costanti richiami a nozioni e istituti della tradizione giuridica islamica. Oltre ai consueti problemi generali posti dall’uso della lingua specialistica, e a quelli riconducibili ad alcune caratteristiche della lingua araba, chi si cimenta nella traduzione di questo codice è pertanto spesso chiamato a risolvere la spinosa questione della corrispondenza tra «unità di significato» della lingua di origine e analoghe unità di significato della lingua di arrivo rispetto a «nozioni», o «unità concettuali», solo parzialmente o per nulla condivise. Da qui la necessità di adottare di volta in volta strategie diverse per rendere in italiano le nozioni che non hanno equivalente nella nostra tradizione giuridica. Le varie situazioni che si delineano lungo tutto il codice possono essere ricondotte a un numero limitato di casi. Il più frequente è quello della nozione espressa con lessema unico in arabo che non trova corrispondenza in alcun lessema unico dell’italiano. Le soluzioni adottate in tali circostanze spaziano dal ricorso a più lessemi italiani (p.es. «pena coranica» per hadd, «pena discrezionale» per ta‘zīr, «caso dubbio» per šubha, «valore minimo» per nisāb), all’uso di un lessema unico italiano integrato da una spiegazione a parte (p. es. «giuramento» per li‘ān e «gruppo» per ‘āqila), al mantenimento in traduzione del lessema arabo, rispetto al quale, ancora una volta, dev’essere integrata una spiegazione (walī, wilāya e ghurra). Vi è poi il caso della nozione espressa in arabo da una coppia di lessemi resi in traduzione italiana, seguendo ragionamenti diversi, con un lessema unico (p.es. «persona» per an-nafs wa-l-ğism e «mentale» per ‘aqlī wa-nafsī). Un ultimo caso degno di nota, sebbene di natura più composita, è quello ben esemplificato dalle due tavole in appendice al codice e da alcuni suoi articoli. Qui integrazioni e spiegazioni sono rese necessarie non solo dalla mancata corrispondenza tra nozioni e unità lessicali nelle due lingue, ma anche dalla forma specifica in cui si sviluppa il discorso nella lingua di partenza, volto a quella particolare concisione tipica delle fonti e dei trattati classici di giurisprudenza e che, a distanza di tempo, crea non poche ambiguità.
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