ll'inizio sta la sentenza n. 318 del 2002 della Corte costituzionale, la quale dichiara illegittimi gli art.. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982 "perché il meccanismo di determinazione del canone di equo affitto, basato sui redditi dominicali risultanti dal catasto del 1939, è ormai privo di qualsiasi razionale giustificazione, dato che esistono dati catastali più recenti ed attendibili" e che il catasto del '39 non può essere posto a base di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia costituzionale della proprietà terriera privata e tale da perseguire la finalità di instaurazione di equi rapporti sociali. Il problema che si è immediatamente posto ai giudici può essere espresso in questi termini: l' inapplicabilità del meccanismo dell' equo canone travolge anche l' esistenza del principio? Le risposte dei giudici di merito sono state varie e oscillanti, ma la posizione della Corte di cassazione è stata perentoria. Difatti le sentenze della Suprema corte che si sono susseguite a partire dal 2004 hanno formulato l'idea della presenza nel nostro ordinamento di un "canone di mercato"affidato alla libera contrattazione delle parti; rispetto alla piena autonomia contrattuale non possono porsi limiti o vincoli di "equità costituzionale" per quanto riguarda la determinazione del corrispettivo dovuto all' affittante. Quand' anche il giudice possa (debba) intervenire, il suo riferimento non potrà non essere il "prezzo di mercato". In definitiva, per la sua esplicazione, il "principio dell' equo canone" deve attendere un (improbabile) intervento legislativo che dia contenuto a un' esigenza destinata altrimenti a rimanere confinata tra le espressioni retoriche o le rivendicazioni nostalgiche.
L' equo canone" nell'affitto di fondi rustici: dai vincoli legali alla libertà di mercato
GOLDONI, MARCO
2014-01-01
Abstract
ll'inizio sta la sentenza n. 318 del 2002 della Corte costituzionale, la quale dichiara illegittimi gli art.. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982 "perché il meccanismo di determinazione del canone di equo affitto, basato sui redditi dominicali risultanti dal catasto del 1939, è ormai privo di qualsiasi razionale giustificazione, dato che esistono dati catastali più recenti ed attendibili" e che il catasto del '39 non può essere posto a base di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia costituzionale della proprietà terriera privata e tale da perseguire la finalità di instaurazione di equi rapporti sociali. Il problema che si è immediatamente posto ai giudici può essere espresso in questi termini: l' inapplicabilità del meccanismo dell' equo canone travolge anche l' esistenza del principio? Le risposte dei giudici di merito sono state varie e oscillanti, ma la posizione della Corte di cassazione è stata perentoria. Difatti le sentenze della Suprema corte che si sono susseguite a partire dal 2004 hanno formulato l'idea della presenza nel nostro ordinamento di un "canone di mercato"affidato alla libera contrattazione delle parti; rispetto alla piena autonomia contrattuale non possono porsi limiti o vincoli di "equità costituzionale" per quanto riguarda la determinazione del corrispettivo dovuto all' affittante. Quand' anche il giudice possa (debba) intervenire, il suo riferimento non potrà non essere il "prezzo di mercato". In definitiva, per la sua esplicazione, il "principio dell' equo canone" deve attendere un (improbabile) intervento legislativo che dia contenuto a un' esigenza destinata altrimenti a rimanere confinata tra le espressioni retoriche o le rivendicazioni nostalgiche.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.