Le voci di dentro (1948) appartiene al filone del “fantastico” eduardiano: con l'ambiguo rapporto sogno-realtà, torna infatti il Leitmotiv della “comunicazione difficile”, sempre più difficile fra gli umani. E' una commedia sul linguaggio, dal titolo emblematico: le voci di dentro – dell'inconscio oltre che della coscienza – non corrispondono più alle voci di fuori; e a forza di reticenze, sospetti reciproci e ipocrisie si può arrivare a mettere un assassinio nel “bilancio di famiglia” (secondo l'accusa del protagonista alla fine). Eppure Eduardo salva il suo personaggio-uomo: questo testimone d'accusa (Alberto Saporito) non rinuncia – come lo Zi' Nicola “'o sparavierze” - al linguaggio comune, anzi denuncerà, anche in un mondo di “sordi”, l'uccisione della “parola” fondata sulla “stima reciproca”. Delle quattro versioni sceniche, post-eduardiane, di Le voci di dentro (Giuffré, Santagata, Rosi, Servillo) si confrontano le due più diverse fra loro, le più connotate: quella di Alfonso Santagata nel 2004 e quella di Toni Servillo nel 2013. La prima si avvicina molto a una riscrittura, per quanto il regista si senta vincolato dal testo. Opera una sintesi, a partire dalla distribuzione delle parti: alcuni attori interpretano più personaggi, e quindi si trovano a pronunciare battute di altri, sostituendoli nel gioco esibito dei travestimenti. La regia di Servillo, invece, potrebbe apparire meno sperimentale, ma a ben guardare contiene quella “ricerca nella tradizione” che caratterizza il rapporto dell'attore-regista con il classici (Molière o Goldoni).
Eduardo, Santagata, Servillo e Le voci di dentro
BARSOTTI, ANNA
2015-01-01
Abstract
Le voci di dentro (1948) appartiene al filone del “fantastico” eduardiano: con l'ambiguo rapporto sogno-realtà, torna infatti il Leitmotiv della “comunicazione difficile”, sempre più difficile fra gli umani. E' una commedia sul linguaggio, dal titolo emblematico: le voci di dentro – dell'inconscio oltre che della coscienza – non corrispondono più alle voci di fuori; e a forza di reticenze, sospetti reciproci e ipocrisie si può arrivare a mettere un assassinio nel “bilancio di famiglia” (secondo l'accusa del protagonista alla fine). Eppure Eduardo salva il suo personaggio-uomo: questo testimone d'accusa (Alberto Saporito) non rinuncia – come lo Zi' Nicola “'o sparavierze” - al linguaggio comune, anzi denuncerà, anche in un mondo di “sordi”, l'uccisione della “parola” fondata sulla “stima reciproca”. Delle quattro versioni sceniche, post-eduardiane, di Le voci di dentro (Giuffré, Santagata, Rosi, Servillo) si confrontano le due più diverse fra loro, le più connotate: quella di Alfonso Santagata nel 2004 e quella di Toni Servillo nel 2013. La prima si avvicina molto a una riscrittura, per quanto il regista si senta vincolato dal testo. Opera una sintesi, a partire dalla distribuzione delle parti: alcuni attori interpretano più personaggi, e quindi si trovano a pronunciare battute di altri, sostituendoli nel gioco esibito dei travestimenti. La regia di Servillo, invece, potrebbe apparire meno sperimentale, ma a ben guardare contiene quella “ricerca nella tradizione” che caratterizza il rapporto dell'attore-regista con il classici (Molière o Goldoni).File | Dimensione | Formato | |
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