Partendo dall’osservazione teorica che in teatro il fenomeno del non detto assume una portata specifica, dal momento che il dramma è tradizionalmente fondato sul dialogo, si rileva come il sottotesto dialogico vi acquisti un significato importante. D’altra parte, nel circuito teatrale – dialogico e anche monologico – diventa essenziale la phonè, l’intensità, l’altezza, il timbro delle parole recitate, magari prefigurata nel testo dalle didascalie. Il non detto può emergere – anche – dai silenzi o dai suoni di un paesaggio, o d’un ambiente che assume valenze lirico-simboliche, comunicando un clima emotivo. Come avviene specialmente nelle didascalie dannunziane, che descrivono e prescrivono lo spazio sonoro, cromatico e luminoso delle tragedie. Dopo avere analizzato in questa prospettiva La figlia di Iorio, in modo che ne emerga il dualismo di Mila, anzi la sua persistente ambiguità – contiene i segni vittimari della tradizione mitologica, della tragedia classica e della leggenda, e al tempo stesso è meretrice e maga – si rilegge il testo tenendo conto d’un fatto non rilevato dalla critica: la protagonista fu concepita per la Duse, con lei, da d’Annunzio; anche se da lei non mai recitata. Per l’atttrice, nella fase cruciale d’un rapporto incrinatosi, d’Annunzio crea Mila, alla quale la Musa ispiratrice o «rivelatrice» per più di un motivo rinuncia o è costretta a rinunciare. Eppure di quell’ispirazione si può tenere conto, e di quella crucialità d’un tormentato abbandono, e si ipotizza che la figlia di Iorio, oltre a condensare l’ambiguità delle precedenti femmine dannunziane, proprio perché generata sul crinale della «dipartita» o del «tradimento» della Duse, ne abbia raffigurato o prefigurato quelle potenzialità espressive che il poeta-regista aveva contribuito a smorzare. Negli atteggiamenti, nei movimenti e nelle posture di Mila – indicati dalle didascalie –, nelle declinazioni della sua voce – rispecchiate dalle battute degli altri personaggi –, si può cogliere forse l’essenza della recitazione della Duse (che pure aveva affascinato l'autore), non tanto della Duse dannunziana, quanto della Duse nel suo complesso. E ciò porterebbe a un’interpretazione meta-teatrale del testo.

Eleonora Duse musa ispiratrice di La figlia di Iorio. Note a margine del capolavoro di D'Annunzio

BARSOTTI, ANNA
2015-01-01

Abstract

Partendo dall’osservazione teorica che in teatro il fenomeno del non detto assume una portata specifica, dal momento che il dramma è tradizionalmente fondato sul dialogo, si rileva come il sottotesto dialogico vi acquisti un significato importante. D’altra parte, nel circuito teatrale – dialogico e anche monologico – diventa essenziale la phonè, l’intensità, l’altezza, il timbro delle parole recitate, magari prefigurata nel testo dalle didascalie. Il non detto può emergere – anche – dai silenzi o dai suoni di un paesaggio, o d’un ambiente che assume valenze lirico-simboliche, comunicando un clima emotivo. Come avviene specialmente nelle didascalie dannunziane, che descrivono e prescrivono lo spazio sonoro, cromatico e luminoso delle tragedie. Dopo avere analizzato in questa prospettiva La figlia di Iorio, in modo che ne emerga il dualismo di Mila, anzi la sua persistente ambiguità – contiene i segni vittimari della tradizione mitologica, della tragedia classica e della leggenda, e al tempo stesso è meretrice e maga – si rilegge il testo tenendo conto d’un fatto non rilevato dalla critica: la protagonista fu concepita per la Duse, con lei, da d’Annunzio; anche se da lei non mai recitata. Per l’atttrice, nella fase cruciale d’un rapporto incrinatosi, d’Annunzio crea Mila, alla quale la Musa ispiratrice o «rivelatrice» per più di un motivo rinuncia o è costretta a rinunciare. Eppure di quell’ispirazione si può tenere conto, e di quella crucialità d’un tormentato abbandono, e si ipotizza che la figlia di Iorio, oltre a condensare l’ambiguità delle precedenti femmine dannunziane, proprio perché generata sul crinale della «dipartita» o del «tradimento» della Duse, ne abbia raffigurato o prefigurato quelle potenzialità espressive che il poeta-regista aveva contribuito a smorzare. Negli atteggiamenti, nei movimenti e nelle posture di Mila – indicati dalle didascalie –, nelle declinazioni della sua voce – rispecchiate dalle battute degli altri personaggi –, si può cogliere forse l’essenza della recitazione della Duse (che pure aveva affascinato l'autore), non tanto della Duse dannunziana, quanto della Duse nel suo complesso. E ciò porterebbe a un’interpretazione meta-teatrale del testo.
2015
Barsotti, Anna
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/780405
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