Ricostruire le origini di questo vitigno è impresa assai ardua per la carenza di testimonianze storiche antecedenti al XVI secolo. L’importanza che questo vitigno ha assunto per la viticoltura dell’Italia centrale e il ruolo di protagonista che riveste oggi nell’enologia italiana giustifica il notevole interesse per spiegare l’origine del nome di questo vitigno che potrebbe essere connesso alla sua zona di origine, di cui Toscana e Emilia Romagna da molti anni si contendono il primato. In mancanza di precisi riferimenti si è fatto ricorso al pensiero mitico che ha richiamato il sangue, uno dei simboli legati al vino e al sacrificio verso le divinità, ovvero sangue di Giove (sanguis Jovis). La semantica del nome rimanda a giogo (jugum) sostenendo l’ipotesi di sangue-gio-vese, cioè del sangue dei gioghi collinari, oppure di un vino "giovevole al sangue" (Mainardi, 2001). Ulteriori relazioni sono state ipotizzate tra la lingua etrusca, gli aspetti religiosi e i significati del termine sangiovese. In un testo etrusco il Liber Linteus, una specie di calendario liturgico scritto su bende di tessuto utilizzato per avvolgere una mummia egiziana del primo secolo d. C., in una frase non ancora interamente decifrata, accanto alla parola vinum compare s'antist'celi, che potrebbe indicare un tipo di vino, che ha notevole assonanza con i termini che definiscono il Sangiovese. Inoltre esistono altre assonanze legate alla sfera rituale con Sangiovese come thana-chvil (offerta votiva), tbcms-zusleva (offerta di chi compie un rito), thezin-eis, (offerta al dio) oppure sani-sva, molto prossimo al termine romagnolo sanzve utilizzato per Sangiovese che ha il valore di padre o di antenato a significare vino dei padri o per una offerta ai padri (Mainardi, 2001). Far risalire l’origine del vitigno Sangiovese alla cultura etrusca è indubbiamente affascinante, ma le recenti scoperte sulle sue possibili origini, ovvero la parentela diretta tra Ciliegiolo e Calabrese di Montenuovo (Vouillamoz et al., 2007; Bergamini et al 2012) mettono in discussione queste ipotesi, anche se non le negano completamente come evidenziato da altre ricerche (Di Vecchi et. al., 2007) La prima attestazione dell’esistenza di questo vitigno in Toscana è ad opera di Soderini (1590) che lo indica come Sangiogheto. Alla fine del seicento si trova raffigurato nel dipinto di Bartolomeo del Bimbo detto “il Bimbi” con il nome di Sangioeto (Basso, 1982), mentre il Trinci (1726) descrive il San Zoveto come "un'uva di qualità bellissima e ne fa ogni anno infinitamente moltissima". Anche il georgofilo Villifranchi nella sua Oenologia Toscana (1773) decanta le caratteristiche di costanza produttiva del San Gioveto definendolo: "il protagonista di vini toscani ottimi al gusto e generosi”. Il Villifranchi (1773) parla anche di San Gioveto forte (sinonimo di Inganna cane) e segnala inoltre il San Gioveto romano che è coltivato nella Marca e in particolare nel Faentino dove di questa sola uva si fa un vino molto generoso che "dimandasi pure San Gioveto". Nello stesso periodo in Romagna l'esistenza del vino Sangiovese e le sue qualità sono testimoniate da testi conviviali e nel ditirambo del 1818 "Il Bacco in Romagna" dell'abate Piolanti (Mainardi, letteratura citata). Il Gallesio (1839) considera il Sangioveto un’uva tutta toscana anche se osserva che non tutti la indicano con lo stesso nome. La Commissione Ampelografica della provincia di Siena (1875-76) indica tra i vitigni più diffusi nel Chianti il Sangioveto e un Calabrese (ampelograficamente diverso), a Montepulciano il “Prugnol”o e a Montalcino il “Brunello”. La stessa Commissione si pone il dubbio che Sangioveto, Prugnolo e Brunello, insieme al Sangioveto piccolo, abbiano in realtà un'unica identità. Di Rovasenda (1877) in Toscana cita sempre il Sangioveto, mentre in Romagna parla di Sangiovese. L'esistenza di diversi biotipi è stata evidenziata da molti autori, in particolare Molon (1906) indica che i più coltivati sono due tipi di Sangioveto, quello “grosso” o Sangioveto dolce e quello “piccolo” o Sangioveto forte. Secondo Breviglieri e Casini (1965) esistono il Sangiovese grosso, con sinonimi dolce e gentile, e il Sangiovese piccolo, con sinonimi forte e montanino. Al biotipo grosso apparterrebbero il Prugnolo gentile di Montepulciano e il Brunello dì Montalcino, sinonimi ampiamente e storicamente utilizzati nelle due città senesi.

Sangiovese

SCALABRELLI, GIANCARLO;D'ONOFRIO, CLAUDIO
2014-01-01

Abstract

Ricostruire le origini di questo vitigno è impresa assai ardua per la carenza di testimonianze storiche antecedenti al XVI secolo. L’importanza che questo vitigno ha assunto per la viticoltura dell’Italia centrale e il ruolo di protagonista che riveste oggi nell’enologia italiana giustifica il notevole interesse per spiegare l’origine del nome di questo vitigno che potrebbe essere connesso alla sua zona di origine, di cui Toscana e Emilia Romagna da molti anni si contendono il primato. In mancanza di precisi riferimenti si è fatto ricorso al pensiero mitico che ha richiamato il sangue, uno dei simboli legati al vino e al sacrificio verso le divinità, ovvero sangue di Giove (sanguis Jovis). La semantica del nome rimanda a giogo (jugum) sostenendo l’ipotesi di sangue-gio-vese, cioè del sangue dei gioghi collinari, oppure di un vino "giovevole al sangue" (Mainardi, 2001). Ulteriori relazioni sono state ipotizzate tra la lingua etrusca, gli aspetti religiosi e i significati del termine sangiovese. In un testo etrusco il Liber Linteus, una specie di calendario liturgico scritto su bende di tessuto utilizzato per avvolgere una mummia egiziana del primo secolo d. C., in una frase non ancora interamente decifrata, accanto alla parola vinum compare s'antist'celi, che potrebbe indicare un tipo di vino, che ha notevole assonanza con i termini che definiscono il Sangiovese. Inoltre esistono altre assonanze legate alla sfera rituale con Sangiovese come thana-chvil (offerta votiva), tbcms-zusleva (offerta di chi compie un rito), thezin-eis, (offerta al dio) oppure sani-sva, molto prossimo al termine romagnolo sanzve utilizzato per Sangiovese che ha il valore di padre o di antenato a significare vino dei padri o per una offerta ai padri (Mainardi, 2001). Far risalire l’origine del vitigno Sangiovese alla cultura etrusca è indubbiamente affascinante, ma le recenti scoperte sulle sue possibili origini, ovvero la parentela diretta tra Ciliegiolo e Calabrese di Montenuovo (Vouillamoz et al., 2007; Bergamini et al 2012) mettono in discussione queste ipotesi, anche se non le negano completamente come evidenziato da altre ricerche (Di Vecchi et. al., 2007) La prima attestazione dell’esistenza di questo vitigno in Toscana è ad opera di Soderini (1590) che lo indica come Sangiogheto. Alla fine del seicento si trova raffigurato nel dipinto di Bartolomeo del Bimbo detto “il Bimbi” con il nome di Sangioeto (Basso, 1982), mentre il Trinci (1726) descrive il San Zoveto come "un'uva di qualità bellissima e ne fa ogni anno infinitamente moltissima". Anche il georgofilo Villifranchi nella sua Oenologia Toscana (1773) decanta le caratteristiche di costanza produttiva del San Gioveto definendolo: "il protagonista di vini toscani ottimi al gusto e generosi”. Il Villifranchi (1773) parla anche di San Gioveto forte (sinonimo di Inganna cane) e segnala inoltre il San Gioveto romano che è coltivato nella Marca e in particolare nel Faentino dove di questa sola uva si fa un vino molto generoso che "dimandasi pure San Gioveto". Nello stesso periodo in Romagna l'esistenza del vino Sangiovese e le sue qualità sono testimoniate da testi conviviali e nel ditirambo del 1818 "Il Bacco in Romagna" dell'abate Piolanti (Mainardi, letteratura citata). Il Gallesio (1839) considera il Sangioveto un’uva tutta toscana anche se osserva che non tutti la indicano con lo stesso nome. La Commissione Ampelografica della provincia di Siena (1875-76) indica tra i vitigni più diffusi nel Chianti il Sangioveto e un Calabrese (ampelograficamente diverso), a Montepulciano il “Prugnol”o e a Montalcino il “Brunello”. La stessa Commissione si pone il dubbio che Sangioveto, Prugnolo e Brunello, insieme al Sangioveto piccolo, abbiano in realtà un'unica identità. Di Rovasenda (1877) in Toscana cita sempre il Sangioveto, mentre in Romagna parla di Sangiovese. L'esistenza di diversi biotipi è stata evidenziata da molti autori, in particolare Molon (1906) indica che i più coltivati sono due tipi di Sangioveto, quello “grosso” o Sangioveto dolce e quello “piccolo” o Sangioveto forte. Secondo Breviglieri e Casini (1965) esistono il Sangiovese grosso, con sinonimi dolce e gentile, e il Sangiovese piccolo, con sinonimi forte e montanino. Al biotipo grosso apparterrebbero il Prugnolo gentile di Montepulciano e il Brunello dì Montalcino, sinonimi ampiamente e storicamente utilizzati nelle due città senesi.
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