Il saggio introduce il volume dedicato alla produzione teatrale e pittorica di Dario Fo e Franca Rame, puntando l'attenzione sulla contaminazione dei due generi artistici. Basta, infatti, una lettura, anche approssimativa, della variegata biografia di Dario Fo e Franca Rame per vanificare l’annosa querelle - ormai fortunatamente superata - tra parola e immagine, che ha oppresso, non molto tempo fa e per diversi anni, gli studi intorno al teatro. Oggi non si tratta più di articolare forzatamente i piani del dibattito lungo i binari di una doxa ideologicamente condivisa, ma di riconoscere che il mondo, il “vissuto-immaginario”, nel quale hanno trovato luogo le avventurose attività scenico-verbali della coppia, si è ben presto rivelato, fin dalle origini, e poi acutamente manifestato, come una apertura d’orizzonte, a tutti i livelli. È sufficiente osservare anche solo la varietà iconica delle suggestive stimolazioni che il “teatro dell’occhio” Fo/Rame suscita, per capire che una tanto sfaccettata capacità di approcci può essere unicamente imputata alla sua valenza di testimonianza profonda del proprio tempo, in virtù della stratificazione culturale che tanto riccamente ne informa il dispiegarsi di fronte allo spettatore. Inoltre, come quasi sempre succede in questo come in altri casi analoghi della storia delle arti e della loro ricezione, la disputa sopra rammentata – giova ricordarlo – è stata vissuta più sentitamente da chi del teatro parla, più che da chi il teatro fa. Gli “acrobati delle arti” o “atleti del cuore” (cfr. A. Artaud) sanno bene che la scena è un ambiente promiscuo e, quindi, particolarmente adatto all’incuneamento critico e alla feconda ambiguità segnica.
Introduzione
MARINAI, EVA;BARSOTTI, ANNA
2011-01-01
Abstract
Il saggio introduce il volume dedicato alla produzione teatrale e pittorica di Dario Fo e Franca Rame, puntando l'attenzione sulla contaminazione dei due generi artistici. Basta, infatti, una lettura, anche approssimativa, della variegata biografia di Dario Fo e Franca Rame per vanificare l’annosa querelle - ormai fortunatamente superata - tra parola e immagine, che ha oppresso, non molto tempo fa e per diversi anni, gli studi intorno al teatro. Oggi non si tratta più di articolare forzatamente i piani del dibattito lungo i binari di una doxa ideologicamente condivisa, ma di riconoscere che il mondo, il “vissuto-immaginario”, nel quale hanno trovato luogo le avventurose attività scenico-verbali della coppia, si è ben presto rivelato, fin dalle origini, e poi acutamente manifestato, come una apertura d’orizzonte, a tutti i livelli. È sufficiente osservare anche solo la varietà iconica delle suggestive stimolazioni che il “teatro dell’occhio” Fo/Rame suscita, per capire che una tanto sfaccettata capacità di approcci può essere unicamente imputata alla sua valenza di testimonianza profonda del proprio tempo, in virtù della stratificazione culturale che tanto riccamente ne informa il dispiegarsi di fronte allo spettatore. Inoltre, come quasi sempre succede in questo come in altri casi analoghi della storia delle arti e della loro ricezione, la disputa sopra rammentata – giova ricordarlo – è stata vissuta più sentitamente da chi del teatro parla, più che da chi il teatro fa. Gli “acrobati delle arti” o “atleti del cuore” (cfr. A. Artaud) sanno bene che la scena è un ambiente promiscuo e, quindi, particolarmente adatto all’incuneamento critico e alla feconda ambiguità segnica.File | Dimensione | Formato | |
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