Questo contributo propone un’analisi di come la natura peculiare del bene protezione – logicamente “sovraordinato” rispetto ai diritti di proprietà sanciti da scambi economici e norme di condotta – si riverberi sulle modalità con cui diversi attori individuali e collettivi, tra cui lo stato e le organizzazioni mafiose, possono produrla e offrirla in cambio di un prezzo. Una particolare attenzione è stata rivolta ad alcuni mercati politici in cui i mafiosi offrono servizi di salvaguardia degli incerti diritti e aspettative in gioco, qualificando gli spazi di possibile intervento e interazione stabilizzata con amministratori pubblici in base alla natura dei corrispondenti scambi politici, all’estensione della gamma di attori rilevanti coinvolti, alla disponibilità – per quel tipo di transazioni – di altre efficaci terze-parti garanti. Gli stessi mafiosi sono soggetti alla precarietà e aleatorietà di diritti di proprietà che per loro rivestono vitale importanza – la sopravvivenza negli affari criminali, la libertà personale, etc. – e che proprio alcuni attori politici riescono talora a tutelare con una sufficiente efficacia e affidabilità. Si pongono allora le premesse affinché si determini una simbiosi tra attori politici e mafiosi, costruita sulla reciproca protezione di aspettative nei contratti di scambio politico così come nelle rispettive attività illegali (della Porta e Vannucci 2013; Vannucci 2013). Tanto mafiosi che politici, infatti, cercano interlocutori credibili e affidabili come garanti nelle rispettive aree di incertezza: da ciò consegue la capacità congiunta di produrre intese politiche stabili, affari e fatturato per le imprese protette, cui si accompagna un ombrello di protezione politica e giudiziaria dai rischi della carriera criminale. Gli attributi della protezione quale risorsa di scambio – grado di rivalità ed escludibilità, profili tipici di un bene pubblico piuttosto che privato – dipendono dal tipo di diritti di proprietà sanciti da regole generali di condotta o vincoli contrattuali. L’ampiezza dell’insieme di attori rilevanti e il grado di consenso tra questi ultimi in merito alla struttura di diritti protetti sono le due principali dimensioni di variazione. In generale, si può ipotizzare che a parità di altre condizioni i mafiosi tendano ove possibile ad attivare “strategie commerciali” volte a trasformare la protezione in una risorsa assimilabile a un bene privato, accrescendone il grado di escludibilità – per convincere gli esclusi a “iscriversi” al novero dei tutelati – e di rivalità, così da alimentare domande di risoluzione di dispute. A bilanciare questi fattori, nella ricerca di un equilibrio a volte precario e instabile, il rischio che gli esclusi o gli insoddisfatti cerchino altri protettori, ovvero si rivolgano allo stato per denunciare quella che ai loro occhi si configura come una mera estorsione. D’altra parte, quando i mafiosi si limitano a controllare a distanza il rispetto di diritti sanciti da un consenso diffuso verso le corrispondenti norme di condotta, aumenta il rischio che prevalgano i profili di “bene pubblico” della protezione, e i loro servizi divengano in larga parte superflui. Laddove le condizioni favorevoli a una “privatizzazione” della protezione non si realizzano i mafiosi tendono a restare ai margini del corrispondente mercato, come in alcune arene di scambio politico. La natura illegale o informale dei vincoli oggetto di tutela mafiosa e la natura contrattuale delle interazioni oggetto di protezione contribuiscono a ridurre il novero di attori rilevanti e il loro consenso sulla distribuzione di diritti sanciti da norme generali o contratti, rendendo più appetibile i servizi della terza-parte garante. Se l’organizzazione mafiosa è in grado di fornire servizi di protezione, è più conveniente per lei concentrare le proprie attenzioni in mercati (e aree di interazione sociale) ove il numero ristretto di attori rilevanti (nel caso dei mercati politici, preferenzialmente enti e organizzazioni politiche di dimensioni medio-piccole), la potenziale conflittualità sull’attribuzione dei diritti, la mancanza di concorrenti credibili (come lo stato nella tutela dei diritti legali di proprietà) ne massimizzano le opportunità di profitto. L’interesse dei garanti mafiosi a inoculare deliberatamente dosi di sfiducia e di incertezza nelle relazioni sociali e contrattuali – così da massimizzare la domanda dei propri servizi – accentua il grado di rivalità della protezione, ossia l’ammontare di dispute in cui le controparti percepiscono la natura “a somma zero” dell’assegnazione finale dei diritti contesi, non sanciti dal consenso che accompagna norme sociali o contratti stipulati alla luce del sole: il timore di incorrere in attività estorsive e predatorie rafforza gli incentivi a domandare ai mafiosi un ombrello di protezione contro simili rischi. Il processo di privatizzazione della protezione realizzato dai mafiosi accentua dunque arbitrarietà e imprevedibilità dei criteri con i corrispondenti servizi sono assicurati, specie in presenza di scambi che si realizzano nei mercati illegali, in assenza di un consenso sociale diffuso: manca infatti un “meta-protettore” che assicuri la qualità e l’imparzialità dei servizi acquistati, proteggendo i titolari di diritti alla protezione acquisiti nei confronti di terze-parti garanti (di primo livello), né sono credibili i vincoli auto-imposti cui i mafiosi potrebbero eventualmente assoggettarsi.

Imperfette simbiosi. Protezione, corruzione, estorsione tra mafia e politica

VANNUCCI, ALBERTO
2015-01-01

Abstract

Questo contributo propone un’analisi di come la natura peculiare del bene protezione – logicamente “sovraordinato” rispetto ai diritti di proprietà sanciti da scambi economici e norme di condotta – si riverberi sulle modalità con cui diversi attori individuali e collettivi, tra cui lo stato e le organizzazioni mafiose, possono produrla e offrirla in cambio di un prezzo. Una particolare attenzione è stata rivolta ad alcuni mercati politici in cui i mafiosi offrono servizi di salvaguardia degli incerti diritti e aspettative in gioco, qualificando gli spazi di possibile intervento e interazione stabilizzata con amministratori pubblici in base alla natura dei corrispondenti scambi politici, all’estensione della gamma di attori rilevanti coinvolti, alla disponibilità – per quel tipo di transazioni – di altre efficaci terze-parti garanti. Gli stessi mafiosi sono soggetti alla precarietà e aleatorietà di diritti di proprietà che per loro rivestono vitale importanza – la sopravvivenza negli affari criminali, la libertà personale, etc. – e che proprio alcuni attori politici riescono talora a tutelare con una sufficiente efficacia e affidabilità. Si pongono allora le premesse affinché si determini una simbiosi tra attori politici e mafiosi, costruita sulla reciproca protezione di aspettative nei contratti di scambio politico così come nelle rispettive attività illegali (della Porta e Vannucci 2013; Vannucci 2013). Tanto mafiosi che politici, infatti, cercano interlocutori credibili e affidabili come garanti nelle rispettive aree di incertezza: da ciò consegue la capacità congiunta di produrre intese politiche stabili, affari e fatturato per le imprese protette, cui si accompagna un ombrello di protezione politica e giudiziaria dai rischi della carriera criminale. Gli attributi della protezione quale risorsa di scambio – grado di rivalità ed escludibilità, profili tipici di un bene pubblico piuttosto che privato – dipendono dal tipo di diritti di proprietà sanciti da regole generali di condotta o vincoli contrattuali. L’ampiezza dell’insieme di attori rilevanti e il grado di consenso tra questi ultimi in merito alla struttura di diritti protetti sono le due principali dimensioni di variazione. In generale, si può ipotizzare che a parità di altre condizioni i mafiosi tendano ove possibile ad attivare “strategie commerciali” volte a trasformare la protezione in una risorsa assimilabile a un bene privato, accrescendone il grado di escludibilità – per convincere gli esclusi a “iscriversi” al novero dei tutelati – e di rivalità, così da alimentare domande di risoluzione di dispute. A bilanciare questi fattori, nella ricerca di un equilibrio a volte precario e instabile, il rischio che gli esclusi o gli insoddisfatti cerchino altri protettori, ovvero si rivolgano allo stato per denunciare quella che ai loro occhi si configura come una mera estorsione. D’altra parte, quando i mafiosi si limitano a controllare a distanza il rispetto di diritti sanciti da un consenso diffuso verso le corrispondenti norme di condotta, aumenta il rischio che prevalgano i profili di “bene pubblico” della protezione, e i loro servizi divengano in larga parte superflui. Laddove le condizioni favorevoli a una “privatizzazione” della protezione non si realizzano i mafiosi tendono a restare ai margini del corrispondente mercato, come in alcune arene di scambio politico. La natura illegale o informale dei vincoli oggetto di tutela mafiosa e la natura contrattuale delle interazioni oggetto di protezione contribuiscono a ridurre il novero di attori rilevanti e il loro consenso sulla distribuzione di diritti sanciti da norme generali o contratti, rendendo più appetibile i servizi della terza-parte garante. Se l’organizzazione mafiosa è in grado di fornire servizi di protezione, è più conveniente per lei concentrare le proprie attenzioni in mercati (e aree di interazione sociale) ove il numero ristretto di attori rilevanti (nel caso dei mercati politici, preferenzialmente enti e organizzazioni politiche di dimensioni medio-piccole), la potenziale conflittualità sull’attribuzione dei diritti, la mancanza di concorrenti credibili (come lo stato nella tutela dei diritti legali di proprietà) ne massimizzano le opportunità di profitto. L’interesse dei garanti mafiosi a inoculare deliberatamente dosi di sfiducia e di incertezza nelle relazioni sociali e contrattuali – così da massimizzare la domanda dei propri servizi – accentua il grado di rivalità della protezione, ossia l’ammontare di dispute in cui le controparti percepiscono la natura “a somma zero” dell’assegnazione finale dei diritti contesi, non sanciti dal consenso che accompagna norme sociali o contratti stipulati alla luce del sole: il timore di incorrere in attività estorsive e predatorie rafforza gli incentivi a domandare ai mafiosi un ombrello di protezione contro simili rischi. Il processo di privatizzazione della protezione realizzato dai mafiosi accentua dunque arbitrarietà e imprevedibilità dei criteri con i corrispondenti servizi sono assicurati, specie in presenza di scambi che si realizzano nei mercati illegali, in assenza di un consenso sociale diffuso: manca infatti un “meta-protettore” che assicuri la qualità e l’imparzialità dei servizi acquistati, proteggendo i titolari di diritti alla protezione acquisiti nei confronti di terze-parti garanti (di primo livello), né sono credibili i vincoli auto-imposti cui i mafiosi potrebbero eventualmente assoggettarsi.
2015
Vannucci, Alberto
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/821823
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