Alla Convenzione di settembre (1864) Firenze reagì con distacco e grande perplessità, ma i moderati toscani, uno dei gruppi più potenti del ceto dirigente italiano, compresero subito che l’ampliamento urbanistico della città e i relativi affari erano un mezzo per rafforzare la loro influenza a livello nazionale e conseguire una posizione di supremazia. Gli imprenditori risposero sollecitamente e in gran numero a quella che fu una sorta di chiamata alle armi, in una convergenza di interessi pubblici e privati. Personalità legate al mondo della banca e della finanza, grandi affaristi italiani e stranieri – come Vincenzo Stefano Breda e Charles Cresswell - si aggiudicarono gli appalti più cospicui, ma anche imprese edili fiorentine medio-piccole riuscirono ad accollarsi diverse opere di realizzazione e adeguamento, in una commistione di attività economiche, iniziative politiche, vere e proprie speculazioni. Non mancarono neppure casi in cui scontri di interessi, pastoie burocratiche e divergenze tecniche impedirono la costruzione di un’opera, come per l’acquedotto. Il trasferimento della capitale a Roma nel 1870 fece improvvisamente cessare tale enorme giro d’affari, con drammatiche conseguenze di tipo economico, sociale e finanziario. Nel 1878, al fallimento del Comune seguirono le dimissioni del sindaco e della Giunta e lo scioglimento del Consiglio, vero punto di svolta nel declino della Destra Storica. Mentre la “questione di Firenze” diventava parte della crisi dell’oligarchia moderata, una nuova ondata di interventi urbanistici nel centro storico ebbe luogo fra 1885 e il ‘95 nella speranza di traghettare Firenze verso una piena ripresa economica.
Da Firenze capitale alla “questione di Firenze”: imprenditori, affaristi e politici
MANETTI, DANIELA
2016-01-01
Abstract
Alla Convenzione di settembre (1864) Firenze reagì con distacco e grande perplessità, ma i moderati toscani, uno dei gruppi più potenti del ceto dirigente italiano, compresero subito che l’ampliamento urbanistico della città e i relativi affari erano un mezzo per rafforzare la loro influenza a livello nazionale e conseguire una posizione di supremazia. Gli imprenditori risposero sollecitamente e in gran numero a quella che fu una sorta di chiamata alle armi, in una convergenza di interessi pubblici e privati. Personalità legate al mondo della banca e della finanza, grandi affaristi italiani e stranieri – come Vincenzo Stefano Breda e Charles Cresswell - si aggiudicarono gli appalti più cospicui, ma anche imprese edili fiorentine medio-piccole riuscirono ad accollarsi diverse opere di realizzazione e adeguamento, in una commistione di attività economiche, iniziative politiche, vere e proprie speculazioni. Non mancarono neppure casi in cui scontri di interessi, pastoie burocratiche e divergenze tecniche impedirono la costruzione di un’opera, come per l’acquedotto. Il trasferimento della capitale a Roma nel 1870 fece improvvisamente cessare tale enorme giro d’affari, con drammatiche conseguenze di tipo economico, sociale e finanziario. Nel 1878, al fallimento del Comune seguirono le dimissioni del sindaco e della Giunta e lo scioglimento del Consiglio, vero punto di svolta nel declino della Destra Storica. Mentre la “questione di Firenze” diventava parte della crisi dell’oligarchia moderata, una nuova ondata di interventi urbanistici nel centro storico ebbe luogo fra 1885 e il ‘95 nella speranza di traghettare Firenze verso una piena ripresa economica.| File | Dimensione | Formato | |
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