La longevità delle aziende è il tema che da sempre si pone al centro degli studi economico-aziendali, essendo l’azienda un istituto economico atto a perdurare. È in dubbio, tuttavia, che in alcune circostanze interrogarsi sulla continuità aziendale e sui fattori che possono positivamente influenzarla assume connotazioni peculiari e suscita particolare interesse. È questo il caso delle aziende familiari, parlando delle quali riecheggia sempre il noto adagio che recita: «La prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge». Guardando alla classifica, stilata alla fine del 2008, delle dieci più antiche imprese familiari esistenti al mondo (https://it.wikipedia.org), si può notare che ben cinque sono italiane (Pontificia Fonderia di Campane Marinelli, Barone Ricasoli, Barovier & Toso, Torrini, Marchesi Antinori), la Francia e il Giappone. Tra le prime 100 più antiche imprese familiari, quelle europee sono i due terzi, prevalentemente localizzate in Inghilterra, Francia, Italia e Germania, e, come viene evidenziato da O’Hara e Mandel, un tratto comune alla maggior parte di loro sembra essere la loro dimensione gestibile, cioè l’essere “relativamente di piccole dimensioni”. Tutto ciò porta inevitabilmente a interrogarsi in merito all’esistenza di un qualche “elisir di lunga vita”. Ciò che rende peculiare il tema della longevità nell’ambito di queste aziende è ancora una volta il carattere familiare, quindi l’idea di un “patrimonio”, declinabile in molteplici diverse maniere, da preservare e tramandare nel tempo alle generazioni future, di un “nome”, quello della famiglia appunto, destinato a sopravvivere alle singole generazioni. L’esistenza di una “eredità” pone al centro della problematica la successione dell’azienda nell’ambito della famiglia e vede nella gestione del passaggio generazionale la questione senza alcun dubbio centrale (Sharma et al., 1997; Habbershon, Williams, 1999, Gomez-Mejia et al., 2007). Il modo in cui si realizza il passaggio del testimone, vale a dire il complesso delle condizioni esterne ed interne all’interno delle quali si sviluppa la dinamica della successione può ostacolare, piuttosto che favorire la longevità aziendale. Legare il concetto di longevità all’idea di un’eredità e una tradizione da preservare e tramandare se da un lato può costituire di per sé una forte motivazione ad assicurare la sopravvivenza nel lunghissimo periodo dell’azienda, dall’altro apre il fianco al rischio di un arroccamento su visioni e orientamenti del passato che possono frenare, quando non addirittura impedire, la capacità dell’impresa familiare di aprirsi all’innovazione, sviluppando una propria dynamic capability (Teece et al., 1979). Per questo motivo, in assenza di un concetto di continuità univocamente definito e in linea con precedenti ricerche (Bonti, Cori, 2011a, 2011b e 2012), riteniamo che la longevità delle imprese familiari possa essere anzitutto ricondotta alla capacità dell’azienda di assicurare nel tempo, lungo le diverse generazioni, un connubio tra tradizione e innovazione che vede nel rafforzamento delle competenze distintive aziendali il punto di arrivo di un equilibrato dosaggio tra il trasferimento dello stock di conoscenze esistenti, l’arricchimento e l’integrazione di conoscenze nuove, lo sviluppo di capacità innovative. L’”elisir di lunga vita” viene in tal senso rinvenuto nello sviluppo di competenze organizzative che consentano di apprendere “il meglio” del passato, trattenendo quei valori che si dimostrano ancora capaci di costituire la fonte del vantaggio competitivo, pur continuando ad innovare, al fine di modellare e costruire il futuro su un più ampio repertorio di abilità e comportamenti. Ciò induce a guardare secondo una diversa prospettiva la stessa dinamica del passaggio generazionale (Bonti, Cori, 2011a, 2011b e 2012). Il caso analizzato si inquadra in questo contesto. L’analisi di un singolo caso di studio pone inevitabilmente interrogativi non solo sulle possibilità di generalizzare le riflessioni svolte, ma anche, più semplicemente, di pensare di poter replicare, in ottica normativa, pratiche e soluzioni adottate dall’azienda oggetto di studio. Questi limiti sono ancora più evidenti se l’azienda in questione appartiene ad un settore di nicchia, che le parole dello stesso intervistato indicano in profonda trasformazione, con significativi esempi di allontanamento dalla vocazione produttiva originaria. Tuttavia il racconto della storia e l’analisi delle questioni attualmente più rilevanti, opportunamente filtrate e depurate da visioni comprensibilmente “di parte” dell’intervistato, suggeriscono alcune riflessioni conclusive. Il caso Giusto Manetti Battiloro offre, a nostro avviso, una sintesi particolarmente significativa delle principali dinamiche osservabili in una media azienda a proprietà e gestione familiare nella fase di piena maturità. L’azienda costituisce un caso “emblematico” delle conseguenze del fenomeno della deriva generazionale, cioè dell’aumento del numero di familiari coinvolti nell’azienda, espressione di rami diversi della famiglia, distanti anagraficamente anche se di fatto riconducibili ad una medesima generazione.

Longevità familiare e successo aziendale: una possibile lettura. Il caso Giusti Manetti Battiloro S.p.A.

BONTI, MARIACRISTINA;CORI, ENRICO
2016-01-01

Abstract

La longevità delle aziende è il tema che da sempre si pone al centro degli studi economico-aziendali, essendo l’azienda un istituto economico atto a perdurare. È in dubbio, tuttavia, che in alcune circostanze interrogarsi sulla continuità aziendale e sui fattori che possono positivamente influenzarla assume connotazioni peculiari e suscita particolare interesse. È questo il caso delle aziende familiari, parlando delle quali riecheggia sempre il noto adagio che recita: «La prima generazione crea, la seconda mantiene, la terza distrugge». Guardando alla classifica, stilata alla fine del 2008, delle dieci più antiche imprese familiari esistenti al mondo (https://it.wikipedia.org), si può notare che ben cinque sono italiane (Pontificia Fonderia di Campane Marinelli, Barone Ricasoli, Barovier & Toso, Torrini, Marchesi Antinori), la Francia e il Giappone. Tra le prime 100 più antiche imprese familiari, quelle europee sono i due terzi, prevalentemente localizzate in Inghilterra, Francia, Italia e Germania, e, come viene evidenziato da O’Hara e Mandel, un tratto comune alla maggior parte di loro sembra essere la loro dimensione gestibile, cioè l’essere “relativamente di piccole dimensioni”. Tutto ciò porta inevitabilmente a interrogarsi in merito all’esistenza di un qualche “elisir di lunga vita”. Ciò che rende peculiare il tema della longevità nell’ambito di queste aziende è ancora una volta il carattere familiare, quindi l’idea di un “patrimonio”, declinabile in molteplici diverse maniere, da preservare e tramandare nel tempo alle generazioni future, di un “nome”, quello della famiglia appunto, destinato a sopravvivere alle singole generazioni. L’esistenza di una “eredità” pone al centro della problematica la successione dell’azienda nell’ambito della famiglia e vede nella gestione del passaggio generazionale la questione senza alcun dubbio centrale (Sharma et al., 1997; Habbershon, Williams, 1999, Gomez-Mejia et al., 2007). Il modo in cui si realizza il passaggio del testimone, vale a dire il complesso delle condizioni esterne ed interne all’interno delle quali si sviluppa la dinamica della successione può ostacolare, piuttosto che favorire la longevità aziendale. Legare il concetto di longevità all’idea di un’eredità e una tradizione da preservare e tramandare se da un lato può costituire di per sé una forte motivazione ad assicurare la sopravvivenza nel lunghissimo periodo dell’azienda, dall’altro apre il fianco al rischio di un arroccamento su visioni e orientamenti del passato che possono frenare, quando non addirittura impedire, la capacità dell’impresa familiare di aprirsi all’innovazione, sviluppando una propria dynamic capability (Teece et al., 1979). Per questo motivo, in assenza di un concetto di continuità univocamente definito e in linea con precedenti ricerche (Bonti, Cori, 2011a, 2011b e 2012), riteniamo che la longevità delle imprese familiari possa essere anzitutto ricondotta alla capacità dell’azienda di assicurare nel tempo, lungo le diverse generazioni, un connubio tra tradizione e innovazione che vede nel rafforzamento delle competenze distintive aziendali il punto di arrivo di un equilibrato dosaggio tra il trasferimento dello stock di conoscenze esistenti, l’arricchimento e l’integrazione di conoscenze nuove, lo sviluppo di capacità innovative. L’”elisir di lunga vita” viene in tal senso rinvenuto nello sviluppo di competenze organizzative che consentano di apprendere “il meglio” del passato, trattenendo quei valori che si dimostrano ancora capaci di costituire la fonte del vantaggio competitivo, pur continuando ad innovare, al fine di modellare e costruire il futuro su un più ampio repertorio di abilità e comportamenti. Ciò induce a guardare secondo una diversa prospettiva la stessa dinamica del passaggio generazionale (Bonti, Cori, 2011a, 2011b e 2012). Il caso analizzato si inquadra in questo contesto. L’analisi di un singolo caso di studio pone inevitabilmente interrogativi non solo sulle possibilità di generalizzare le riflessioni svolte, ma anche, più semplicemente, di pensare di poter replicare, in ottica normativa, pratiche e soluzioni adottate dall’azienda oggetto di studio. Questi limiti sono ancora più evidenti se l’azienda in questione appartiene ad un settore di nicchia, che le parole dello stesso intervistato indicano in profonda trasformazione, con significativi esempi di allontanamento dalla vocazione produttiva originaria. Tuttavia il racconto della storia e l’analisi delle questioni attualmente più rilevanti, opportunamente filtrate e depurate da visioni comprensibilmente “di parte” dell’intervistato, suggeriscono alcune riflessioni conclusive. Il caso Giusto Manetti Battiloro offre, a nostro avviso, una sintesi particolarmente significativa delle principali dinamiche osservabili in una media azienda a proprietà e gestione familiare nella fase di piena maturità. L’azienda costituisce un caso “emblematico” delle conseguenze del fenomeno della deriva generazionale, cioè dell’aumento del numero di familiari coinvolti nell’azienda, espressione di rami diversi della famiglia, distanti anagraficamente anche se di fatto riconducibili ad una medesima generazione.
2016
Bonti, Mariacristina; Cori, Enrico
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/843317
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