Ho conosciuto Luciano Pera nel lontano 1968, in occasione di una mostra organizzata dal Gruppo di Ricerche Preistoriche ed Archeologiche “Alberto Carlo Blanc” di Viareggio presso il Liceo Scientifico, insieme alla graziosissima moglie Rosy, già allora inseparabile compagna della sua lunga avventura artistica. Mi colpì subito il suo interesse per la preistoria e la sua profonda conoscenza dell’arte paleolitica franco-cantabrica, di cui aveva visitato personalmente quasi tutti i siti, ed avemmo modo di discutere insieme delle nuove interpretazioni in chiave antropologica che Leroi-Gourhan stava portando avanti proprio in quegli anni. Grazie a questi comuni interessi, nacque una sincera amicizia che dura tuttora. Luciano Pera nasce a Badia di Cantignano (Lucca) nel 1925 e, sin da ragazzo, dipinge e modella, influenzato inizialmente dalla corrente surrealista. Nel 1945 s’iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Pisa e contemporaneamente frequenta corsi alle Accademie d’Arte di Firenze e di Parigi, città nella quale arriva per la prima volta nel 1947 e al cui ambiente culturale resterà legato per sempre. Nel corso della sua frequentazione parigina, Pera ha modo di approfondire non solo il suo rapporto con l’arte, ma anche con gli studi di etnologia nell’ambito della Facoltà di Scienze Umanistiche della Sorbona e del Museo dell’Uomo, subendo l’influsso dello strutturalismo di Claude Levi Strauss. A Parigi completa la sua formazione artistica negli anni ’50, dove conosce e frequenta alcuni dei più grandi artisti del momento, come Chagall, Cesar, Arman ed altri, più nuovi ma non meno importanti, come Léger, Villon e, in Italia, Rotella. In seguito alla sua formazione antropologica, pur essendo in origine scultore e pittore di matrice surrealista, rielabora sempre nelle sue opere elementi simbolici appartenenti a culture del Paleolitico superiore europeo e dell’Oceania. La sua attività artistica, pur raggiungendo altri paesi europei, si svolge prevalentemente tra Italia e Francia, dove realizza numerosissime mostre. Ma lasciamo descrivere direttamente da Pera il suo soggiorno a Parigi: "Parigi, quando ci sono andato la prima volta dopo la guerra poco più che ventenne, costituiva l’Universo intellettuale ed artistico. Era il tempo in cui si potevano incontrare nei Cafè i più grandi artisti e letterati del Novecento: Lipchitz, Sartre, Max Jacob, Cendrars, Zadkine, De Chirico, Savinio, Silone, Alberto Giacometti. Non occorrevano presentazioni, si poteva parlargli purché in maniera educata: bisognava ovviamente conoscere bene la loro attività artistica. Mi è stato molto utile scoprire direttamente le loro opere, dalle quali ho cercato di trarre tutto ciò che era possibile, perché a volte l'Artista era incomunicabile, forse per l’età o forse per la vissuta esperienza. Fu un soggiorno breve. Ero uno studente di Medicina a Pisa. Mia madre voleva che facessi il medico, proprio lei che pitturava... Comunque fui attratto dal grande biologo ed etologo Leo Pardi. uno scienziato straordinario. Studiavo, ma ero costretto ad occuparmi dell’azienda familiare, perché mio padre che si era ammalato non poteva più lavorare”. L’arte di Luciano Pera appare indubbiamente originale, fantasiosa e soprattutto inquadrabile con difficoltà. E’ difficile ritrovare in Pera uno stile artistico completo e stabilizzato, che definisca un imprinting ed una morfologia artistica peculiare, in quanto appartiene a pieno titolo al gruppo eterogeneo degli artisti sperimentali e ancor meglio, nel caso suo, di quelli che vivono in una perpetua "'inquietudine delle forme". Pera infatti passa con grande disinvoltura da opere grafiche e sculture che alludono a misteriose divinità mediterranee, a gioielli che sono delle vere sculture in miniatura di un orafo stravagante, a dipinti degni di un Artista informale che punti su di una conflagrazione dei colori, ad una grafica sobria e fantasiosa che si esprime in grafismi primitivi. Pera è uno di quegli artisti in continuo cambiamento che si proietta in un mondo di intuizioni primordiali, di archetipi che alimentano in continuazione la sua creatività. La ricerca di Pera continua tuttora e l'Artista usa le sue risorse inventive per nuove esperienze. Lavora nei suoi studi in Provenza, in Versilia e a Lucca, suo ambiente ideale, dove in un palazzo storico ha organizzato studio, laboratorio, casa e giardino: "La Toscana –dice- è particolare. Stimola, ti fa pensare e in questo mondo globale per salvare la terra, bisognerebbe impacchettarla e spedirla su Marte…". Per comprendere Pera occorre considerare anzitutto la sua attrazione per l'arte paleolitica e per quella dell’Oceania, che lui ha innalzato a modello della sua concezione estetica. In altri termini, Pera riflette il passato, rendendolo, attraverso alchimie dell'arte, nostro contemporaneo, collegandosi a quella tendenza del XX secolo, già impersonata da Modigliani e da Picasso, di riscoprire nella maschera africana o nella statuetta cicladica il nostro vero volto. Però, mentre le immagini che ricoprono le pareti delle caverne paleolitiche erano l'espressione rituale di una magia della caccia esercitata da un antico stregone e la statua della Grande Madre Mediterranea presiedeva i riti della fecondità naturale ed umana, le immagini e le sculture di Pera si offrono alla nostra percezione e alla nostra sensibilità come valori estetici di un'archeologia interpretata e trasmessa a noi, come arte vissuta e resa conforme all’arte del nostro secolo. La sua personalità si rivela e si riconosce immediatamente per il suo originalissimo senso della simbiosi tra uomo e natura e per la ricerca continua di raffigurarla in svariate forme simboliche, nelle quali l'astrazione dell'idea si traduce in concretezza plastica. Per questo motivo, la produzione artistica di Pera appare permeata da questo rapporto, tendente a rappresentare, con le forme delle arti che gli sono più congeniali, quali la grafica e la scultura, le intuizioni elaborate dalle scienze della natura e dalla psiche umana e l’Artista rielabora questi significati trasportando in pittura, grafica e scultura riferimenti strutturali di natura biologica, antropologica, arcaica e primitiva. L’atto creativo di Luciano Pera si pone in una dimensione spazio-temporale al centro di una complessa entità cosmogonica, della quale sembra captare memorie indefinite, presenze antropomorfe e stratificazioni storiche che si trasformano in un impulso creativo istintivo e visionario. Volendo trovare a tutti i costi un riferimento con il passato, questo è da ricercare nell’arte animalistica delle popolazioni germaniche, nella quale l’originale rappresentazione di animali fantastici e di forme umane, con iniziale significato sciamanico, tende a intrecciarsi e a confondersi sempre più in elementi decorativi che necessitano, per essere compresi, di un accurato processo di scomposizione. Oltre all’arte primitiva, certamente importanti furono anche la scoperta delle Scienze Naturali e della Paleontologia, grazie proprio a Rosy che studiava Botanica, e le escursioni alle grotte, la ricerca di fossili, i pellegrinaggi nel Sud della Francia, per visitare i luoghi e respirare l’aria di Cezanne e di Van Gogh, e la vicinanza ad artisti come Licini, .Morandi, Burri, Fontana, Yves Klein, con i quali avverte di essere in sintonia. Per concludere, lasciamo di nuovo la parola all’Artista: “C'est le jeste, le beau jeste, è ill gesto misurato e studiato, ante tékhne, che unito alla mente traduce il progetto, l'idea in immagine: tactae sonuerunt, per intenderci. Sono attratto dai materiali che uso per fissare l'intuizione e tradurre le suggestioni. La materia mi stimola in ogni sua sostanza, a cominciare dall'ardesia che incidevo già a sette anni; in seguito ho realizzato opere in marmo, pietra, vetro, ceramica, bronzo e oro. Ho usato tavole. tele, carte, papiri, tapa (un tessuto della Polinesia), zinco e rame come supporti, sui quali sono intervenuto con i colori a olio, i pastelli, gli acquerelli. gli inchiostri e gli smalti. Il mio lavoro risente molto del tempo, intendo lo scorrere degli anni. Da quando ho cominciato, fino ad ora, appare logico, ma veramente mi succede lo stesso con i lavori iniziati da qualche anno o solo da mesi: perché scultura e pittura devono essere conclusive velocemente, altrimenti quegli abbozzi sono come gli appunti scritti che non rileggo, perché superati. Ogni mio lavoro nasce da una azione che mi porta all'interno della tela. Mi sento attratto da un punto originario, non necessariamente centrale, dal quale partono tutte le sensazioni. Utilizzo un’energia come forza per indagare e rendere visibile il “vuoto”: spazi come nuotare, spazi colorati vuoti-pieni. geometrici. Universo unico e coerente con il mio essere. Il fine costruttivo della mia ricerca è conoscerlo, occuparlo e sprofondarvi fino a raggiungere quel nucleo, la cui posizione è stabilita da una tensione che frena: quel punto di riflessione sulle possibilità di intervento, da cui partono traiettorie non radiali e neppure parallele, percorse dalla mente secondo il disegno. Ho pensato la pittura come una filosofia e oggi si avvicina ad un codice, in cui tensioni geometriche e variabili dinamiche lo scompongono e lo rinnovano continuamente. Questo operare in pittura si proietta nella scultura: i vuoti, le pause, le sospensioni si armonizzano come in musica. E in scultura dietro o davanti non importa, lavoro davanti e tocco dietro con le mani, ma non c'è un davanti/dietro. Un pensierino sulle cose che ho fatto e che faccio può essere questo: per ottenere un'opera è indispensabile unire alla massima sensibilità manuale, l'energia che sostiene o che regge la creazione in fieri. Tutto ciò che ho realizzato fino qui è legato ad esperienze lontane, senz'altro la mia infanzia, ma anche alla necessità di capire le tracce del pensiero creativo: quando visitavo le grotte dell'Ariège insieme agli studiosi del Museo dell'Uomo di Parigi, per i quali disegnavo i reperti, l'esperto ero proprio io. Riconoscevo i segni tracciati sulle pareti e li distinguevo da quelli naturali. Solchi che dovevano essere innanzi intuiti e poi conosciuti: tracce di vera intelligenza, sogni. Prima di quei segnali incisi sulle pareti di una grotta, non c'era che la vita e la morte e dopo l'uomo, quell'uomo ha inventato la memoria e questo non finisce di stupirmi…".

Considerazioni sulla personalità artistica di Luciano Pera

FORNACIARI, GINO
2017-01-01

Abstract

Ho conosciuto Luciano Pera nel lontano 1968, in occasione di una mostra organizzata dal Gruppo di Ricerche Preistoriche ed Archeologiche “Alberto Carlo Blanc” di Viareggio presso il Liceo Scientifico, insieme alla graziosissima moglie Rosy, già allora inseparabile compagna della sua lunga avventura artistica. Mi colpì subito il suo interesse per la preistoria e la sua profonda conoscenza dell’arte paleolitica franco-cantabrica, di cui aveva visitato personalmente quasi tutti i siti, ed avemmo modo di discutere insieme delle nuove interpretazioni in chiave antropologica che Leroi-Gourhan stava portando avanti proprio in quegli anni. Grazie a questi comuni interessi, nacque una sincera amicizia che dura tuttora. Luciano Pera nasce a Badia di Cantignano (Lucca) nel 1925 e, sin da ragazzo, dipinge e modella, influenzato inizialmente dalla corrente surrealista. Nel 1945 s’iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Pisa e contemporaneamente frequenta corsi alle Accademie d’Arte di Firenze e di Parigi, città nella quale arriva per la prima volta nel 1947 e al cui ambiente culturale resterà legato per sempre. Nel corso della sua frequentazione parigina, Pera ha modo di approfondire non solo il suo rapporto con l’arte, ma anche con gli studi di etnologia nell’ambito della Facoltà di Scienze Umanistiche della Sorbona e del Museo dell’Uomo, subendo l’influsso dello strutturalismo di Claude Levi Strauss. A Parigi completa la sua formazione artistica negli anni ’50, dove conosce e frequenta alcuni dei più grandi artisti del momento, come Chagall, Cesar, Arman ed altri, più nuovi ma non meno importanti, come Léger, Villon e, in Italia, Rotella. In seguito alla sua formazione antropologica, pur essendo in origine scultore e pittore di matrice surrealista, rielabora sempre nelle sue opere elementi simbolici appartenenti a culture del Paleolitico superiore europeo e dell’Oceania. La sua attività artistica, pur raggiungendo altri paesi europei, si svolge prevalentemente tra Italia e Francia, dove realizza numerosissime mostre. Ma lasciamo descrivere direttamente da Pera il suo soggiorno a Parigi: "Parigi, quando ci sono andato la prima volta dopo la guerra poco più che ventenne, costituiva l’Universo intellettuale ed artistico. Era il tempo in cui si potevano incontrare nei Cafè i più grandi artisti e letterati del Novecento: Lipchitz, Sartre, Max Jacob, Cendrars, Zadkine, De Chirico, Savinio, Silone, Alberto Giacometti. Non occorrevano presentazioni, si poteva parlargli purché in maniera educata: bisognava ovviamente conoscere bene la loro attività artistica. Mi è stato molto utile scoprire direttamente le loro opere, dalle quali ho cercato di trarre tutto ciò che era possibile, perché a volte l'Artista era incomunicabile, forse per l’età o forse per la vissuta esperienza. Fu un soggiorno breve. Ero uno studente di Medicina a Pisa. Mia madre voleva che facessi il medico, proprio lei che pitturava... Comunque fui attratto dal grande biologo ed etologo Leo Pardi. uno scienziato straordinario. Studiavo, ma ero costretto ad occuparmi dell’azienda familiare, perché mio padre che si era ammalato non poteva più lavorare”. L’arte di Luciano Pera appare indubbiamente originale, fantasiosa e soprattutto inquadrabile con difficoltà. E’ difficile ritrovare in Pera uno stile artistico completo e stabilizzato, che definisca un imprinting ed una morfologia artistica peculiare, in quanto appartiene a pieno titolo al gruppo eterogeneo degli artisti sperimentali e ancor meglio, nel caso suo, di quelli che vivono in una perpetua "'inquietudine delle forme". Pera infatti passa con grande disinvoltura da opere grafiche e sculture che alludono a misteriose divinità mediterranee, a gioielli che sono delle vere sculture in miniatura di un orafo stravagante, a dipinti degni di un Artista informale che punti su di una conflagrazione dei colori, ad una grafica sobria e fantasiosa che si esprime in grafismi primitivi. Pera è uno di quegli artisti in continuo cambiamento che si proietta in un mondo di intuizioni primordiali, di archetipi che alimentano in continuazione la sua creatività. La ricerca di Pera continua tuttora e l'Artista usa le sue risorse inventive per nuove esperienze. Lavora nei suoi studi in Provenza, in Versilia e a Lucca, suo ambiente ideale, dove in un palazzo storico ha organizzato studio, laboratorio, casa e giardino: "La Toscana –dice- è particolare. Stimola, ti fa pensare e in questo mondo globale per salvare la terra, bisognerebbe impacchettarla e spedirla su Marte…". Per comprendere Pera occorre considerare anzitutto la sua attrazione per l'arte paleolitica e per quella dell’Oceania, che lui ha innalzato a modello della sua concezione estetica. In altri termini, Pera riflette il passato, rendendolo, attraverso alchimie dell'arte, nostro contemporaneo, collegandosi a quella tendenza del XX secolo, già impersonata da Modigliani e da Picasso, di riscoprire nella maschera africana o nella statuetta cicladica il nostro vero volto. Però, mentre le immagini che ricoprono le pareti delle caverne paleolitiche erano l'espressione rituale di una magia della caccia esercitata da un antico stregone e la statua della Grande Madre Mediterranea presiedeva i riti della fecondità naturale ed umana, le immagini e le sculture di Pera si offrono alla nostra percezione e alla nostra sensibilità come valori estetici di un'archeologia interpretata e trasmessa a noi, come arte vissuta e resa conforme all’arte del nostro secolo. La sua personalità si rivela e si riconosce immediatamente per il suo originalissimo senso della simbiosi tra uomo e natura e per la ricerca continua di raffigurarla in svariate forme simboliche, nelle quali l'astrazione dell'idea si traduce in concretezza plastica. Per questo motivo, la produzione artistica di Pera appare permeata da questo rapporto, tendente a rappresentare, con le forme delle arti che gli sono più congeniali, quali la grafica e la scultura, le intuizioni elaborate dalle scienze della natura e dalla psiche umana e l’Artista rielabora questi significati trasportando in pittura, grafica e scultura riferimenti strutturali di natura biologica, antropologica, arcaica e primitiva. L’atto creativo di Luciano Pera si pone in una dimensione spazio-temporale al centro di una complessa entità cosmogonica, della quale sembra captare memorie indefinite, presenze antropomorfe e stratificazioni storiche che si trasformano in un impulso creativo istintivo e visionario. Volendo trovare a tutti i costi un riferimento con il passato, questo è da ricercare nell’arte animalistica delle popolazioni germaniche, nella quale l’originale rappresentazione di animali fantastici e di forme umane, con iniziale significato sciamanico, tende a intrecciarsi e a confondersi sempre più in elementi decorativi che necessitano, per essere compresi, di un accurato processo di scomposizione. Oltre all’arte primitiva, certamente importanti furono anche la scoperta delle Scienze Naturali e della Paleontologia, grazie proprio a Rosy che studiava Botanica, e le escursioni alle grotte, la ricerca di fossili, i pellegrinaggi nel Sud della Francia, per visitare i luoghi e respirare l’aria di Cezanne e di Van Gogh, e la vicinanza ad artisti come Licini, .Morandi, Burri, Fontana, Yves Klein, con i quali avverte di essere in sintonia. Per concludere, lasciamo di nuovo la parola all’Artista: “C'est le jeste, le beau jeste, è ill gesto misurato e studiato, ante tékhne, che unito alla mente traduce il progetto, l'idea in immagine: tactae sonuerunt, per intenderci. Sono attratto dai materiali che uso per fissare l'intuizione e tradurre le suggestioni. La materia mi stimola in ogni sua sostanza, a cominciare dall'ardesia che incidevo già a sette anni; in seguito ho realizzato opere in marmo, pietra, vetro, ceramica, bronzo e oro. Ho usato tavole. tele, carte, papiri, tapa (un tessuto della Polinesia), zinco e rame come supporti, sui quali sono intervenuto con i colori a olio, i pastelli, gli acquerelli. gli inchiostri e gli smalti. Il mio lavoro risente molto del tempo, intendo lo scorrere degli anni. Da quando ho cominciato, fino ad ora, appare logico, ma veramente mi succede lo stesso con i lavori iniziati da qualche anno o solo da mesi: perché scultura e pittura devono essere conclusive velocemente, altrimenti quegli abbozzi sono come gli appunti scritti che non rileggo, perché superati. Ogni mio lavoro nasce da una azione che mi porta all'interno della tela. Mi sento attratto da un punto originario, non necessariamente centrale, dal quale partono tutte le sensazioni. Utilizzo un’energia come forza per indagare e rendere visibile il “vuoto”: spazi come nuotare, spazi colorati vuoti-pieni. geometrici. Universo unico e coerente con il mio essere. Il fine costruttivo della mia ricerca è conoscerlo, occuparlo e sprofondarvi fino a raggiungere quel nucleo, la cui posizione è stabilita da una tensione che frena: quel punto di riflessione sulle possibilità di intervento, da cui partono traiettorie non radiali e neppure parallele, percorse dalla mente secondo il disegno. Ho pensato la pittura come una filosofia e oggi si avvicina ad un codice, in cui tensioni geometriche e variabili dinamiche lo scompongono e lo rinnovano continuamente. Questo operare in pittura si proietta nella scultura: i vuoti, le pause, le sospensioni si armonizzano come in musica. E in scultura dietro o davanti non importa, lavoro davanti e tocco dietro con le mani, ma non c'è un davanti/dietro. Un pensierino sulle cose che ho fatto e che faccio può essere questo: per ottenere un'opera è indispensabile unire alla massima sensibilità manuale, l'energia che sostiene o che regge la creazione in fieri. Tutto ciò che ho realizzato fino qui è legato ad esperienze lontane, senz'altro la mia infanzia, ma anche alla necessità di capire le tracce del pensiero creativo: quando visitavo le grotte dell'Ariège insieme agli studiosi del Museo dell'Uomo di Parigi, per i quali disegnavo i reperti, l'esperto ero proprio io. Riconoscevo i segni tracciati sulle pareti e li distinguevo da quelli naturali. Solchi che dovevano essere innanzi intuiti e poi conosciuti: tracce di vera intelligenza, sogni. Prima di quei segnali incisi sulle pareti di una grotta, non c'era che la vita e la morte e dopo l'uomo, quell'uomo ha inventato la memoria e questo non finisce di stupirmi…".
2017
978-88-6550-570-0
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/871063
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