Il testo intende verificare il ruolo della spesa militare nell’economia italiana tra le 2 guerre mondiali per stabilire se essa ebbe realmente un’incidenza limitata fino alla preparazione dell’aggressione all’Etiopia, come sostiene in prevalenza la storiografia italiana. Cerca inoltre di fornire una prima valutazione dei modi piuttosto articolati in cui le commesse militari agivano sulle imprese che le ricevevano per valutarne meglio le conseguenze (1) sulla struttura del mercato, (2) sull’innovazione di processi e prodotti. Dalla ricostruzione emergono ragioni per spiegare perché, nella seconda guerra mondiale le imprese fossero ben più riluttanti che nel 1915-18 nell’espandere investimenti e produzione. Le serie storiche del bilancio statale italiano fra 1918 e1934 vengono analizzate attentamente, cercando di rimediare alle manipolazioni con cui il fascismo volle accreditare l’impressione che i pagamenti fossero più contenuti degli impegni di spesa. L’esame si vale di documentazione inedita della Presidenza del consiglio. Dalla metà degli anni Venti la quota di spesa assegnata alle spese militari tende a crescere e i pagamenti tendono a stabilizzarsi, grazie in particolare all’uso dei residui passivi. In un primo tempo le commesse militari prestano particolare attenzione all’Ansaldo, in relazione all’esigenza di riportare sotto controllo l’esposizione debitoria dell’impresa, che agiva direttamente sulla circolazione monetaria attraverso i crediti erogati dalla Sezione speciale autonoma del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali. Successivamente si ricorse alle commesse militari per bilanciare gli effetti restrittivi di “quota 90”; nel 1930, la spesa militare parve lo strumento principale per combattere una disoccupazione di proporzioni minacciose in alcune zone industriali del paese. Dal 1931-32 i pagamenti furono superiori agli impegni e, nonostante le gravi difficoltà della finanza statale, gli importi destinati alle spese militari furono mantenuti stabili. Inoltre le cifre attribuite ai ministeri militari vanno integrate con quelle destinate al Ministero delle colonie, in larga misura utilizzate per esigenze militari. Le aziende che producevano armamenti assorbirono una larga quota delle spese militari al netto di quelle per il personale (decurtate come le retribuzioni dei dipendenti pubblici fra 1927 e 1934). Le dimensioni modeste del mercato interno e le limitazioni incontrate nell’esportazione non permettevano l’esistenza di aziende specializzate; tutte producevano un ampio ventaglio di prodotti e adottavano un’organizzazione verticale che agevolava la compensazione tra perdite e guadagni. L’IRI non modificò sostanzialmente questa situazione. Le commesse militari aiutavano a contenere il peso dei costi fissi, mentre gli accordi fra produttori (coerenti con i provvedimenti di politica industriale presi dal fascismo a partire dal 1927) aiutavano a fissare prezzi remunerativi, come testimonia il caso della Breda, analizzato attraverso documenti d’archivio. Non fu possibile, però, impostare una produzione di massa di armamenti, tanto più che le autorità militari favorivano una pluralità di produttori e ripartivano le commesse cercando di accontentare tutti, anche se con particolare riguardo per alcuni. Ne derivarono inadeguatezze e difficoltà strutturali che limitarono l’effetto delle commesse sui conti aziendali e sull’organizzazione della produzione. Neppure il progresso tecnico risultò fortemente stimolato e la cattiva prova della produzione bellica italiana nella seconda guerra mondiale è una conseguenza di tale situazione.
Spese militari, congiunture economiche e consolidamento dell’industria in Italia, 1919-1934
FALCO, GIANCARLO
2005-01-01
Abstract
Il testo intende verificare il ruolo della spesa militare nell’economia italiana tra le 2 guerre mondiali per stabilire se essa ebbe realmente un’incidenza limitata fino alla preparazione dell’aggressione all’Etiopia, come sostiene in prevalenza la storiografia italiana. Cerca inoltre di fornire una prima valutazione dei modi piuttosto articolati in cui le commesse militari agivano sulle imprese che le ricevevano per valutarne meglio le conseguenze (1) sulla struttura del mercato, (2) sull’innovazione di processi e prodotti. Dalla ricostruzione emergono ragioni per spiegare perché, nella seconda guerra mondiale le imprese fossero ben più riluttanti che nel 1915-18 nell’espandere investimenti e produzione. Le serie storiche del bilancio statale italiano fra 1918 e1934 vengono analizzate attentamente, cercando di rimediare alle manipolazioni con cui il fascismo volle accreditare l’impressione che i pagamenti fossero più contenuti degli impegni di spesa. L’esame si vale di documentazione inedita della Presidenza del consiglio. Dalla metà degli anni Venti la quota di spesa assegnata alle spese militari tende a crescere e i pagamenti tendono a stabilizzarsi, grazie in particolare all’uso dei residui passivi. In un primo tempo le commesse militari prestano particolare attenzione all’Ansaldo, in relazione all’esigenza di riportare sotto controllo l’esposizione debitoria dell’impresa, che agiva direttamente sulla circolazione monetaria attraverso i crediti erogati dalla Sezione speciale autonoma del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali. Successivamente si ricorse alle commesse militari per bilanciare gli effetti restrittivi di “quota 90”; nel 1930, la spesa militare parve lo strumento principale per combattere una disoccupazione di proporzioni minacciose in alcune zone industriali del paese. Dal 1931-32 i pagamenti furono superiori agli impegni e, nonostante le gravi difficoltà della finanza statale, gli importi destinati alle spese militari furono mantenuti stabili. Inoltre le cifre attribuite ai ministeri militari vanno integrate con quelle destinate al Ministero delle colonie, in larga misura utilizzate per esigenze militari. Le aziende che producevano armamenti assorbirono una larga quota delle spese militari al netto di quelle per il personale (decurtate come le retribuzioni dei dipendenti pubblici fra 1927 e 1934). Le dimensioni modeste del mercato interno e le limitazioni incontrate nell’esportazione non permettevano l’esistenza di aziende specializzate; tutte producevano un ampio ventaglio di prodotti e adottavano un’organizzazione verticale che agevolava la compensazione tra perdite e guadagni. L’IRI non modificò sostanzialmente questa situazione. Le commesse militari aiutavano a contenere il peso dei costi fissi, mentre gli accordi fra produttori (coerenti con i provvedimenti di politica industriale presi dal fascismo a partire dal 1927) aiutavano a fissare prezzi remunerativi, come testimonia il caso della Breda, analizzato attraverso documenti d’archivio. Non fu possibile, però, impostare una produzione di massa di armamenti, tanto più che le autorità militari favorivano una pluralità di produttori e ripartivano le commesse cercando di accontentare tutti, anche se con particolare riguardo per alcuni. Ne derivarono inadeguatezze e difficoltà strutturali che limitarono l’effetto delle commesse sui conti aziendali e sull’organizzazione della produzione. Neppure il progresso tecnico risultò fortemente stimolato e la cattiva prova della produzione bellica italiana nella seconda guerra mondiale è una conseguenza di tale situazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.