Un tipo di rappresentazione stigmatizzata del genere “donna” trova esemplificazione in ambito mediatico, in cui spesso vengono messi in luce episodi di misoginia e violenza. Problematiche legate a questo tipo di raffigurazione della donna possono trovare strumenti utili di indagine nella linguistica dei corpora (Cortese, 1999). Quest’ultima consente, infatti, di esplorare su larga scala fenomeni sociolinguistici e psicologici che si riflettono nelle scelte linguistiche e comunicative, non solo a livello di individuo ma anche di comunità (Harris, 1952; Firth, 1957; Tabbert, 2012).Tuttavia, per quanto a nostra conoscenza, un’analisi sistematica delle rappresentazioni della “donna come vittima” in corpora di linguaggio mediatico italiano non è molto presente in letteratura. Infatti, è ancora poco diffuso, specialmente nel panorama italiano, l’impiego di strumenti computazionali negli studi di linguistica di genere (Baker, 2014, Fragaki e Goutsos, 2015, Busso e Vignozzi, 2017, inter alia). In questo lavoro, proponiamo i risultati di uno studio pilota sulla rappresentazione lessicale della violenza di genere nelle principali testate giornalistiche e nel linguaggio televisivo della docu-fiction. Le analisi sono state eseguite su un corpus di articoli di cronaca nera, redatto ad hoc e costituito da circa 300.000 parole (WItNECS- Women in Italian Crime Sections). La raccolta comprende sei mesi di articoli, la cui data d’inizio corrisponde al 13/09/16, connotata simbolicamente dal suicidio di una vittima di revenge porn. I risultati sono stati ottenuti tramite un’analisi lessicale data-driven condotta con l’ausilio del software Sketch Engine (Kilgarriff et al. 2014). Successivamente, è stato effettuato uno studio comparativo su un database multimodale (materiale video accompagnato dalla trascrizione ortografica del parlato) di episodi di Amore Criminale (stagione 2015-2016), allo scopo di confrontare le rappresentazioni di donna come vittima nel linguaggio giornalistico con quelle della televisione. I risultati preliminari indicano tendenze interessanti dal punto di vista semiotico e sociolinguistico. Nonostante le chiare differenze tra i due tipi di medium, emergono similarità sia a livello di scelte lessicali che di espedienti narrativi. Nello specifico, le donne oggetto di violenze sono sempre rappresentate "in relazione" ad un uomo e mai come individui a sé stanti: mogli, figlie, madri. Interessante è soprattutto che questa dimensione relazionale non sia legata solo al perpetratore della violenza, spesso un familiare, ma caratterizzi le vittime a tutto tondo. La vittima, quindi, viene privata della sua individualità precipua per inserirla in una rete di relazioni familiari che ne rendano la vicenda più universale, e che favoriscano un processo di identificazione e pietà. Inoltre, donne e uomini sono connotati da metafore evocative contrapposte (ad esempio: "luce” vs “buio", "uomini bestia"). In primis, questo indica una certa spettacolarizzazione dei casi di cronaca nera. Inoltre, le frequenti associazioni metaforiche tra uomo e animali feroci sembrerebbero veicolare una visione istintiva e primordiale della violenza maschile. In conclusione, questo studio, partendo da osservazioni di tipo puramente linguistico, mira a sfiorare tematiche socioculturali sensibili e dinamiche psicologiche sottese alla rappresentazione mediatica della violenza di genere.

La narrativa della violenza: uno studio corpus-based sulla rappresentazione della violenza di genere nei media italiani.

Lucia Busso;Claudia Roberta Combei;Ottavia Tordini;
2018-01-01

Abstract

Un tipo di rappresentazione stigmatizzata del genere “donna” trova esemplificazione in ambito mediatico, in cui spesso vengono messi in luce episodi di misoginia e violenza. Problematiche legate a questo tipo di raffigurazione della donna possono trovare strumenti utili di indagine nella linguistica dei corpora (Cortese, 1999). Quest’ultima consente, infatti, di esplorare su larga scala fenomeni sociolinguistici e psicologici che si riflettono nelle scelte linguistiche e comunicative, non solo a livello di individuo ma anche di comunità (Harris, 1952; Firth, 1957; Tabbert, 2012).Tuttavia, per quanto a nostra conoscenza, un’analisi sistematica delle rappresentazioni della “donna come vittima” in corpora di linguaggio mediatico italiano non è molto presente in letteratura. Infatti, è ancora poco diffuso, specialmente nel panorama italiano, l’impiego di strumenti computazionali negli studi di linguistica di genere (Baker, 2014, Fragaki e Goutsos, 2015, Busso e Vignozzi, 2017, inter alia). In questo lavoro, proponiamo i risultati di uno studio pilota sulla rappresentazione lessicale della violenza di genere nelle principali testate giornalistiche e nel linguaggio televisivo della docu-fiction. Le analisi sono state eseguite su un corpus di articoli di cronaca nera, redatto ad hoc e costituito da circa 300.000 parole (WItNECS- Women in Italian Crime Sections). La raccolta comprende sei mesi di articoli, la cui data d’inizio corrisponde al 13/09/16, connotata simbolicamente dal suicidio di una vittima di revenge porn. I risultati sono stati ottenuti tramite un’analisi lessicale data-driven condotta con l’ausilio del software Sketch Engine (Kilgarriff et al. 2014). Successivamente, è stato effettuato uno studio comparativo su un database multimodale (materiale video accompagnato dalla trascrizione ortografica del parlato) di episodi di Amore Criminale (stagione 2015-2016), allo scopo di confrontare le rappresentazioni di donna come vittima nel linguaggio giornalistico con quelle della televisione. I risultati preliminari indicano tendenze interessanti dal punto di vista semiotico e sociolinguistico. Nonostante le chiare differenze tra i due tipi di medium, emergono similarità sia a livello di scelte lessicali che di espedienti narrativi. Nello specifico, le donne oggetto di violenze sono sempre rappresentate "in relazione" ad un uomo e mai come individui a sé stanti: mogli, figlie, madri. Interessante è soprattutto che questa dimensione relazionale non sia legata solo al perpetratore della violenza, spesso un familiare, ma caratterizzi le vittime a tutto tondo. La vittima, quindi, viene privata della sua individualità precipua per inserirla in una rete di relazioni familiari che ne rendano la vicenda più universale, e che favoriscano un processo di identificazione e pietà. Inoltre, donne e uomini sono connotati da metafore evocative contrapposte (ad esempio: "luce” vs “buio", "uomini bestia"). In primis, questo indica una certa spettacolarizzazione dei casi di cronaca nera. Inoltre, le frequenti associazioni metaforiche tra uomo e animali feroci sembrerebbero veicolare una visione istintiva e primordiale della violenza maschile. In conclusione, questo studio, partendo da osservazioni di tipo puramente linguistico, mira a sfiorare tematiche socioculturali sensibili e dinamiche psicologiche sottese alla rappresentazione mediatica della violenza di genere.
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