Destano stupore, sollevano interrogativi e meritano qualche riflessione la frequenza e l’enfasi con cui il confronto politico, il dibattito giornalistico e l’attenzione mediatica intorno alla realizzazione delle grandi opere hanno di recente portato in primo piano l’analisi costi-benefici, come strumento di valutazione a supporto delle scelte di realizzazione e di localizzazione di impianti e infrastrutture. Al di là del merito della questione e dei singoli temi in discussione, un semplice, e magari grossolano, indicatore vale a materializzare questo recente picco di attenzione; il 22 novembre 2018 Google registra che nel corso dell’ultimo anno la voce “costi-benefici” ha raccolto su internet un ammontare complessivo di 307 riferimenti, a fronte di numeri compresi fra 125 e 140 in ciascuno dei dieci anni precedenti al 2017, ad attestare un fenomeno mediatico riconosciuto dalla stessa stampa: “Grande successo di pubblico: da argomento riservato a pochi specialisti, l’analisi costi-benefici (ACB) ha conquistato le prime pagine dei giornali” (Ramella, 2018). L’impressione che emerge è quella della riscoperta, se non addirittura, da parte di alcuni, della scoperta di questa disciplina, in effetti tutt’altro che nuova o particolarmente innovativa. Non è questa la sede per ripercorrere la lunga vicenda dell’analisi costi-benefici, una tecnica di origine ottocentesca che ha conosciuto la sua stagione d’oro nei primi decenni del dopoguerra, prima di un lungo periodo di più tiepidi consensi; sarà piuttosto l’occasione per discutere le ragioni del suo recente vigoroso ritorno di interesse ben oltre il proprio perimetro disciplinare, e soprattutto i motivi dell’assunzione di questa tecnica in veste pressoché oracolare, come uno strumento di valutazione risolutivo, i cui esiti sono (o sono presentati come) indiscutibili e dirimenti sulle più controverse scelte territoriali.

L’analisi costi-benefici: un sorprendente ritorno di interesse

Valerio Cutini
2018-01-01

Abstract

Destano stupore, sollevano interrogativi e meritano qualche riflessione la frequenza e l’enfasi con cui il confronto politico, il dibattito giornalistico e l’attenzione mediatica intorno alla realizzazione delle grandi opere hanno di recente portato in primo piano l’analisi costi-benefici, come strumento di valutazione a supporto delle scelte di realizzazione e di localizzazione di impianti e infrastrutture. Al di là del merito della questione e dei singoli temi in discussione, un semplice, e magari grossolano, indicatore vale a materializzare questo recente picco di attenzione; il 22 novembre 2018 Google registra che nel corso dell’ultimo anno la voce “costi-benefici” ha raccolto su internet un ammontare complessivo di 307 riferimenti, a fronte di numeri compresi fra 125 e 140 in ciascuno dei dieci anni precedenti al 2017, ad attestare un fenomeno mediatico riconosciuto dalla stessa stampa: “Grande successo di pubblico: da argomento riservato a pochi specialisti, l’analisi costi-benefici (ACB) ha conquistato le prime pagine dei giornali” (Ramella, 2018). L’impressione che emerge è quella della riscoperta, se non addirittura, da parte di alcuni, della scoperta di questa disciplina, in effetti tutt’altro che nuova o particolarmente innovativa. Non è questa la sede per ripercorrere la lunga vicenda dell’analisi costi-benefici, una tecnica di origine ottocentesca che ha conosciuto la sua stagione d’oro nei primi decenni del dopoguerra, prima di un lungo periodo di più tiepidi consensi; sarà piuttosto l’occasione per discutere le ragioni del suo recente vigoroso ritorno di interesse ben oltre il proprio perimetro disciplinare, e soprattutto i motivi dell’assunzione di questa tecnica in veste pressoché oracolare, come uno strumento di valutazione risolutivo, i cui esiti sono (o sono presentati come) indiscutibili e dirimenti sulle più controverse scelte territoriali.
2018
Cutini, Valerio
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