La stagione risorgimentale è stata caratterizzata da una peculiare politicizzazione del mondo universitario, che vide prestigiosi docenti degli atenei di alcuni stati della penisola trasformare i momenti e gli spazi della didattica universitaria in un contesto vocato a veicolare il messaggio nazionale anzitutto tra gli studenti, ma non solo. Negli anni Quaranta dell’Ottocento, le lezioni dei professori “patrioti” esercitarono infatti una forte capacità d’attrazione anche al di fuori della comunità universitaria, diventando popolari occasioni di intrattenimento in nome dell’ideale nazionale, oltre che momenti di mobilitazione, e perfino di esaltazione, collettiva. Ben diverso sarebbe stato lo scenario universitario immediatamente dopo l’unificazione, che vide l’istituzione accademica abbandonare i connotati rivoluzionari per divenire la sede privilegiata della legittimazione del nuovo regime politico, all’insegna della «scienza nazionale» (cfr. I. Porciani). Presto, tuttavia, alcuni importanti esponenti della nuova generazione di docenti comparsa dopo il 1861 si rivelò permeabile a culture e indirizzi politici eterodossi, impegnandosi nella loro trasmissione attraverso lo strumento di un’efficace e appassionante oratoria che trovò crescente spazio tra le abituali attività e liturgie universitarie. Lezioni, prolusioni, discorsi commemorativi, inaugurazioni di monumenti diventarono i momenti nei quali si celebrava un’opera di persuasione, di fidelizzazione, e al contempo di auto-promozione, politica, legata strettamente alla personale capacità di fascinazione del professore universitario nei confronti di un pubblico di riferimento in primo luogo costituito da studenti, ma presto allargato a gruppi sociali non esclusivamente riconducibili al bacino studentesco. Si affermarono così, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, ben note figure di professore-politico, che avrebbero segnato la storia del primo socialismo, del radicalismo, del repubblicanesimo, ma anche del liberalismo costituzionale che guardava con favore ad evoluzioni di “liberal-progressista”, democratico e socialista. Proprio con riferimento al primo orizzonte politico-culturale, quello liberal-progressista, forse considerato troppo sbrigativamente dalla storiografia, si concentra l’attenzione su di un caso di studio per molti versi paradigmatico, rappresentato dalla figura di Augusto Pierantoni. Interprete per molti versi emblematico della nuova stagione post-unitaria, basti ricordare che fu tra i chiamati ad una delle neo-istituite cattedre di diritto internazionale (a Modena) dopo aver partecipato da volontario alla Seconda guerra d’indipendenza, Pierantoni coltivò parallelamente all’esperienza cattedratica anche quella di avvocato e di parlamentare. Nella sua più che quarantennale esperienza di docente realizzò una pressoché completa osmosi tra l’impegno politico e il ruolo accademico. Si pensi all’impegno profuso nella promozione del nascente diritto internazionale e nella sua divulgazione anche attraverso fortunati volumi destinati agli studenti universitari come I progressi del diritto internazionale nel secolo XIX e la Storia del diritto internazionale in Italia. Dalla sua opera emergeva, in estrema sintesi, la convinta adesione ad una battaglia di civiltà e di “progresso” che stabiliva un nesso di continuità tra il processo di emancipazione nazionale, la conquista e l’ampliamento dei diritti di ciascun cittadino, e infine l’edificazione di un apparato di regole che consentissero una pacifica convivenza tra ordinamenti statuali. La considerevole popolarità di cui godette Pierantoni fu da lui stesso abilmente coltivata anche scegliendo di non sottrarsi ad una ruvida dialettica con parte della carta stampata (cfr. la lunga polemica con «Il Corriere della Sera»). La sua figura di professore-garibaldino, che veniva annoverato tra i «bravi della Camera», capace di commettere inconfondibili «Pierantonate» (cit. da «Corriere della Sera»), per l’appunto amplificata dagli organi di stampa, consentiva al docente di mantenere una sua riconoscibilità, rinnovando il dialogo con gli studenti, e più in generale con una parte dell’“opinione pubblica”, dalla cattedra, nelle ricorrenze e manifestazioni che coinvolgevano la comunità universitaria, nelle aule dei processi, nelle aule parlamentari. Come ha fatto notare Carlo Bersani, è anche con Pierantoni che si afferma, nel particolare contesto del gius-internazionalismo dell’ateneo romano all’indomani della breccia di Porta Pia, il genere del «discorso», innovazione didattica della quale non può sfuggire la particolare valenza “spettacolare”. In vari appuntamenti pubblici Pierantoni, facendo leva sulla sua condizione di docente, tenta di proporre al pubblico di riferimento, “affezionandolo”, un nuovo programma liberale, all’insegna di un concetto estensivo, e sempre più inclusivo, di libertà e di cittadinanza.
Garibaldino, giurista, libero pensatore. I discorsi e le lezioni del professor Augusto Pierantoni (1865-1899)
Breccia Alessandro
2018-01-01
Abstract
La stagione risorgimentale è stata caratterizzata da una peculiare politicizzazione del mondo universitario, che vide prestigiosi docenti degli atenei di alcuni stati della penisola trasformare i momenti e gli spazi della didattica universitaria in un contesto vocato a veicolare il messaggio nazionale anzitutto tra gli studenti, ma non solo. Negli anni Quaranta dell’Ottocento, le lezioni dei professori “patrioti” esercitarono infatti una forte capacità d’attrazione anche al di fuori della comunità universitaria, diventando popolari occasioni di intrattenimento in nome dell’ideale nazionale, oltre che momenti di mobilitazione, e perfino di esaltazione, collettiva. Ben diverso sarebbe stato lo scenario universitario immediatamente dopo l’unificazione, che vide l’istituzione accademica abbandonare i connotati rivoluzionari per divenire la sede privilegiata della legittimazione del nuovo regime politico, all’insegna della «scienza nazionale» (cfr. I. Porciani). Presto, tuttavia, alcuni importanti esponenti della nuova generazione di docenti comparsa dopo il 1861 si rivelò permeabile a culture e indirizzi politici eterodossi, impegnandosi nella loro trasmissione attraverso lo strumento di un’efficace e appassionante oratoria che trovò crescente spazio tra le abituali attività e liturgie universitarie. Lezioni, prolusioni, discorsi commemorativi, inaugurazioni di monumenti diventarono i momenti nei quali si celebrava un’opera di persuasione, di fidelizzazione, e al contempo di auto-promozione, politica, legata strettamente alla personale capacità di fascinazione del professore universitario nei confronti di un pubblico di riferimento in primo luogo costituito da studenti, ma presto allargato a gruppi sociali non esclusivamente riconducibili al bacino studentesco. Si affermarono così, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, ben note figure di professore-politico, che avrebbero segnato la storia del primo socialismo, del radicalismo, del repubblicanesimo, ma anche del liberalismo costituzionale che guardava con favore ad evoluzioni di “liberal-progressista”, democratico e socialista. Proprio con riferimento al primo orizzonte politico-culturale, quello liberal-progressista, forse considerato troppo sbrigativamente dalla storiografia, si concentra l’attenzione su di un caso di studio per molti versi paradigmatico, rappresentato dalla figura di Augusto Pierantoni. Interprete per molti versi emblematico della nuova stagione post-unitaria, basti ricordare che fu tra i chiamati ad una delle neo-istituite cattedre di diritto internazionale (a Modena) dopo aver partecipato da volontario alla Seconda guerra d’indipendenza, Pierantoni coltivò parallelamente all’esperienza cattedratica anche quella di avvocato e di parlamentare. Nella sua più che quarantennale esperienza di docente realizzò una pressoché completa osmosi tra l’impegno politico e il ruolo accademico. Si pensi all’impegno profuso nella promozione del nascente diritto internazionale e nella sua divulgazione anche attraverso fortunati volumi destinati agli studenti universitari come I progressi del diritto internazionale nel secolo XIX e la Storia del diritto internazionale in Italia. Dalla sua opera emergeva, in estrema sintesi, la convinta adesione ad una battaglia di civiltà e di “progresso” che stabiliva un nesso di continuità tra il processo di emancipazione nazionale, la conquista e l’ampliamento dei diritti di ciascun cittadino, e infine l’edificazione di un apparato di regole che consentissero una pacifica convivenza tra ordinamenti statuali. La considerevole popolarità di cui godette Pierantoni fu da lui stesso abilmente coltivata anche scegliendo di non sottrarsi ad una ruvida dialettica con parte della carta stampata (cfr. la lunga polemica con «Il Corriere della Sera»). La sua figura di professore-garibaldino, che veniva annoverato tra i «bravi della Camera», capace di commettere inconfondibili «Pierantonate» (cit. da «Corriere della Sera»), per l’appunto amplificata dagli organi di stampa, consentiva al docente di mantenere una sua riconoscibilità, rinnovando il dialogo con gli studenti, e più in generale con una parte dell’“opinione pubblica”, dalla cattedra, nelle ricorrenze e manifestazioni che coinvolgevano la comunità universitaria, nelle aule dei processi, nelle aule parlamentari. Come ha fatto notare Carlo Bersani, è anche con Pierantoni che si afferma, nel particolare contesto del gius-internazionalismo dell’ateneo romano all’indomani della breccia di Porta Pia, il genere del «discorso», innovazione didattica della quale non può sfuggire la particolare valenza “spettacolare”. In vari appuntamenti pubblici Pierantoni, facendo leva sulla sua condizione di docente, tenta di proporre al pubblico di riferimento, “affezionandolo”, un nuovo programma liberale, all’insegna di un concetto estensivo, e sempre più inclusivo, di libertà e di cittadinanza.File | Dimensione | Formato | |
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