Morire è non essere visto: la Corte costituzionale volge lo sguardo sulla realtà del suicidio assistito

Italian legislator has been urged by Constitutional Court to regulate medical assisted suicide, as exception to the crime of“aiding suicide”, that generally speaking can be considered useful to contrast suicidal vulnerability (according to some suicidology outcomes). This historical decision has been argued by comparing this unprecedented right to be helped to die, with the already recognized right to refuse "life-sustaining treatments”, even though these two rights should be actually put in different perspectives. Best practices of palliative care give indications about how to build such a discipline, on the basis of a so speak “proceduralization” of the approach to whom is affected, not exactly by a “suicidal vulnerability”, but by an unbearable “global pain” because of an illness not possible to get through.Drastic prohibitions and severe sanctions of criminal lawdon’t fit to this field,where a sensible and painful individual experience has rather to be respected and carefully oriented and accompanied. At best, criminal law can play a residual role, by punishing those who perpetrated an assisted suicide without respecting the procedure.

La Corte costituzionale ha “messo in mora” il legislatore affinché disciplini modalità di accesso al suicidio medicalmente assistito da parte di chi sia affetto da patologie irreversibili e sofferenze intollerabili, in deroga al reato di agevolazione del suicidio (deroga desunta, con esiti problematici, dall’ormai consolidato,mainvero differente, diritto di rifiutare trattamenti anche salvavita). A quel reato però, in linea di principio, si riconosce la valida funzione di salvaguardare la vita di soggetti vulnerabili. Quest’ultima considerazione sembra trovare un fondamentoempiricoe scientifico in certe acquisizioni suicidologiche, che invitano a non assecondare dinamiche psichiche indotte dalla c.d. suicidal vulnerability; la ratio puniendi ricavabile in virtù di questo approccio segna peraltro, al contempo, un limite di tipicità dell’art. 580 c.p., la cui estensione al caso di chi chieda un aiuto al morire perché versa in una condizione patologica di irrimediabile dolore globale finisce con l’apparire irragionevole. Si può dunque ritenere che, rispetto a questa differente situazione, sia opportuno semmai far operare un diritto non “costrittivo”, che non muove da generalizzazioni e non minaccia pene, ed invece delinea procedure - ispirate dalle migliori prassi di cure palliative - entro le quali la scelta di libertà sul proprio morire da parte di chi sia capace di intendere e volere (art. 8 CEDU) venga orientata da un dialogo rispettoso della sua dignità e della sua singolare, angosciosa esperienza, anche attraverso l’offerta di valide alternative. La norma incriminatrice, in quest’ambito, potrebbe al più operare “a tutela di funzioni”.