In Italia abbiamo assistito negli ultimi anni a un esteso dibattito sulle trasposizioni cinematografiche e televisive di opere di grande successo riguardanti le mafie, la corruzione e l’area grigia, fenomeni che storicamente caratterizzano il nostro Paese nella percezione interna ed esterna e nella sua stereotipizzazione. Tale dibattito ha però spesso perso di vista l’alto livello di complessità dei fenomeni rappresentati, che cercheremo di riportare al centro della nostra analisi. Romanzo criminale (Einaudi, 2002) e Gomorra (Mondadori, 2006) ne sono due esempi emblematici: hanno percorso la stessa via di traduzione, cinematografica prima e televisiva poi, con fiction di grande successo e impatto. Il mio intervento tenta di fare un passo indietro rispetto a ciò che sul tema è già stato ampiamente dibattuto, considerando l’eccedenza simbolica dell’etichetta “mafia” e il rischio di un’eccessiva enfatizzazione in chiave performativa di tale concetto, in rapporto ai diversi contesti culturali locali a cui viene applicata. Nell’iper-rappresentazione delle mafie spariscono infatti i fenomeni ad essa collegati e propedeutici, come le varie forme di corruzione: lo spettatore mantiene una distanza di sicurezza, mette in pace la coscienza, impotente davanti ai “Grandi Vecchi”, si distrae dalle piccole e grandi corruzioni che incontra quotidianamente, normalizzandole. Ciò che viene rappresentato appare come un fenomeno “altro” da noi. Alla luce di tutto ciò, è necessario a nostro avviso considerare ancor prima delle trasposizioni seriali e cinematografiche del testo scritto, l’adattamento nel testo degli atti giudiziari e le problematicità ad esso legate. Risulta infatti fondamentale una preliminare riflessione sulla natura del materiale giudiziario, costruito a fini repressivi, occorre sottolinearlo, ma spesso diventato corposo sostegno degli intrecci di molte pubblicazioni sul tema. In Romanzo Criminale agli atti giudiziari è indissolubilmente legata la figura autoriale, che racchiude in sé il giudice prima dello scrittore, innescando un cortocircuito interessante e su cui è necessario riflettere. Tale cortocircuito viene chiuso, idealmente nelle nostre considerazioni, dall’influenza esercitata da tutto ciò nella cronaca del processo romano Mondo di mezzo.
L’adattamento problematico dei fenomeni criminali nei media italiani: il caso di Romanzo criminale
Emilia Lacroce
Primo
2019-01-01
Abstract
In Italia abbiamo assistito negli ultimi anni a un esteso dibattito sulle trasposizioni cinematografiche e televisive di opere di grande successo riguardanti le mafie, la corruzione e l’area grigia, fenomeni che storicamente caratterizzano il nostro Paese nella percezione interna ed esterna e nella sua stereotipizzazione. Tale dibattito ha però spesso perso di vista l’alto livello di complessità dei fenomeni rappresentati, che cercheremo di riportare al centro della nostra analisi. Romanzo criminale (Einaudi, 2002) e Gomorra (Mondadori, 2006) ne sono due esempi emblematici: hanno percorso la stessa via di traduzione, cinematografica prima e televisiva poi, con fiction di grande successo e impatto. Il mio intervento tenta di fare un passo indietro rispetto a ciò che sul tema è già stato ampiamente dibattuto, considerando l’eccedenza simbolica dell’etichetta “mafia” e il rischio di un’eccessiva enfatizzazione in chiave performativa di tale concetto, in rapporto ai diversi contesti culturali locali a cui viene applicata. Nell’iper-rappresentazione delle mafie spariscono infatti i fenomeni ad essa collegati e propedeutici, come le varie forme di corruzione: lo spettatore mantiene una distanza di sicurezza, mette in pace la coscienza, impotente davanti ai “Grandi Vecchi”, si distrae dalle piccole e grandi corruzioni che incontra quotidianamente, normalizzandole. Ciò che viene rappresentato appare come un fenomeno “altro” da noi. Alla luce di tutto ciò, è necessario a nostro avviso considerare ancor prima delle trasposizioni seriali e cinematografiche del testo scritto, l’adattamento nel testo degli atti giudiziari e le problematicità ad esso legate. Risulta infatti fondamentale una preliminare riflessione sulla natura del materiale giudiziario, costruito a fini repressivi, occorre sottolinearlo, ma spesso diventato corposo sostegno degli intrecci di molte pubblicazioni sul tema. In Romanzo Criminale agli atti giudiziari è indissolubilmente legata la figura autoriale, che racchiude in sé il giudice prima dello scrittore, innescando un cortocircuito interessante e su cui è necessario riflettere. Tale cortocircuito viene chiuso, idealmente nelle nostre considerazioni, dall’influenza esercitata da tutto ciò nella cronaca del processo romano Mondo di mezzo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.