“The Year of the Flood” di Margaret Atwood: devastazione pandemica e miraggi del benessere

This paper focuses on the second book of the MaddAddam Trilogy, Margaret Atwood’s series of speculative novels unfolding against a dystopian and post-apocalyptic backdrop. Characterised by a high-sounding as well as provocative title, “The Year of the Flood” (2009) depicts a frightfully foreseeable future in which an ecosphere already affected by climate change and pollution is finally hit by a second Great Flood. In a globalised society where human destinies are ruled by multinational corporations and unethical genetic-engineering experimentation, the plague that wreaks havoc on our planet is in turn alien to the phenomenology of nature. In other words, postmodern annihilation is brought about by a Waterless Flood, a lethal and paradoxically dry ocean wave that condemns the few survivors – among whom are Toby and Ren, the two female protagonists – to desperately fight against a life-in-death condition. A pandemic started by the dissemination of a bioengineered virus, this man-made catastrophe is predicted by God’s Gardeners’ leader Adam One. A third-millennium Noah of sorts, he commits himself to making proselytes and sending out warning signals, while hastening to store canned and dried goods in a number of Ararat/pantries. In my paper I examine different elements from this scenario of pandemic devastation, such as characters, contexts, names, and locations (especially the garden, the rooftop, and the spa). Light is also shed on the ironic and metaphorical use of language and, crucially, on the shades of meaning acquired by the notions of environmentalism and holistic healing, survivalism and well-being.

Questo articolo si incentra sul secondo libro della MaddAddam Trilogy, la serie di romanzi speculativi di Margaret Atwood caratterizzati da un’ambientazione distopica e post-apocalittica. Contraddistinto da un titolo altisonante quanto provocatorio, “The Year of the Flood” (“L’anno del diluvio”, 2009) dipinge un futuro spaventosamente preventivabile nel quale un’ecosfera già minata dal cambiamento climatico e dall’inquinamento è colpita da una specie di secondo diluvio universale. In una società globalizzata dove il destino umano è manipolato dalle multinazionali e da selvagge sperimentazioni di ingegneria genetica, il flagello che si abbatte sul pianeta è a sua volta estraneo alla fenomenologia naturale. In altre parole, l’annichilimento della postmodernità è causato da un Diluvio Senz’Acqua, un’onda oceanica letale e paradossalmente asciutta che condanna i pochi sopravvissuti – tra i quali figurano Toby e Ren, i due personaggi femminili principali – a combattere disperatamente contro una condizione di vita-in-morte. Questa catastrofe di origine antropica, consistente in una pandemia scoppiata per il diffondersi di un virus creato in laboratorio, è profetizzata da Adam One, il leader dei Giardinieri di Dio. Sorta di Noè del terzo millennio, questi si impegna in una grande opera di proselitismo e ammonimento, adoperandosi al contempo a immagazzinare cibi in scatola e a lunga conservazione in vari depositi-dispense chiamati allusivamente ‘Ararat’. Nell’articolo vengono esaminati diversi elementi inerenti allo scenario della devastazione pandemica, dai personaggi ai contesti, dai nomi ai luoghi (specialmente il giardino, la terrazza panoramica, il centro benessere). L’indagine riguarda anche l’impiego ironico e metaforico del linguaggio e, in particolare, le variabili semantiche relative ai concetti di ambientalismo e terapia olistica, ‘survivalism’ e ‘well-being’.