Il saggio si focalizza su uno degli ‘Imaginary Portraits’ di Walter Pater: ‘Sebastian van Storck’ (1886), opera che, pur condividendo con gli altri ritratti immaginari alcuni elementi paradigmatici (il protagonista come genio isolato, l’ibridazione tra fiction e retroterra storico-artistico, il substrato autobiografico, il motivo della malattia), si distingue per la configurazione di un protagonista più alienato e tormentato rispetto ai suoi fratelli diegetici. Calato nel contesto fervente dell’Olanda seicentesca, allo zenit dell’ascesa economica e dell’autoaffermazione in ambito nazionale e culturale, Sebastian, appartenente a una ricca famiglia borghese che spesso ospita un noto cenacolo storico di pittori, rifugge costantemente dagli incontri di società e condanna l’estetica alla stregua di una finzione. Alle presunte velleità della pittura, giudicata in senso platonico come copia di una copia, Sebastian contrappone il valore cognitivo ed esegetico della filosofia, alla quale però si avvicina seguendo una traiettoria nichilistica. Dopo aver messo a fuoco le mutuazioni e le rivisitazioni attuate da Pater rispetto al pensiero di Spinoza, Schopenhauer, Eduard von Hartmann, vengono qui investigate le strategie narrative attraverso le quali la fabula pare decostruirsi, in una trasposizione metatestuale del desiderio di Sebastian di congiungersi alle geometrie del divino, annullando la propria esistenza effimera e fenomenica nell’omogeneità eterna del metafisico. In modo analogo, il racconto, che si conclude con la misteriosa morte del protagonista istituendo un cortocircuito tra versioni contraddittorie del decesso, sembra gradualmente autocancellarsi e tornare a uno stato originario, ‘protodiegetico’ di tabula rasa.
"Restoring 'tabula rasa'. Reading Walter Pater's 'Sebastian van Storck' as a Self-Deconstructing Tale"
GIOVANNELLI, LAURA
2008-01-01
Abstract
Il saggio si focalizza su uno degli ‘Imaginary Portraits’ di Walter Pater: ‘Sebastian van Storck’ (1886), opera che, pur condividendo con gli altri ritratti immaginari alcuni elementi paradigmatici (il protagonista come genio isolato, l’ibridazione tra fiction e retroterra storico-artistico, il substrato autobiografico, il motivo della malattia), si distingue per la configurazione di un protagonista più alienato e tormentato rispetto ai suoi fratelli diegetici. Calato nel contesto fervente dell’Olanda seicentesca, allo zenit dell’ascesa economica e dell’autoaffermazione in ambito nazionale e culturale, Sebastian, appartenente a una ricca famiglia borghese che spesso ospita un noto cenacolo storico di pittori, rifugge costantemente dagli incontri di società e condanna l’estetica alla stregua di una finzione. Alle presunte velleità della pittura, giudicata in senso platonico come copia di una copia, Sebastian contrappone il valore cognitivo ed esegetico della filosofia, alla quale però si avvicina seguendo una traiettoria nichilistica. Dopo aver messo a fuoco le mutuazioni e le rivisitazioni attuate da Pater rispetto al pensiero di Spinoza, Schopenhauer, Eduard von Hartmann, vengono qui investigate le strategie narrative attraverso le quali la fabula pare decostruirsi, in una trasposizione metatestuale del desiderio di Sebastian di congiungersi alle geometrie del divino, annullando la propria esistenza effimera e fenomenica nell’omogeneità eterna del metafisico. In modo analogo, il racconto, che si conclude con la misteriosa morte del protagonista istituendo un cortocircuito tra versioni contraddittorie del decesso, sembra gradualmente autocancellarsi e tornare a uno stato originario, ‘protodiegetico’ di tabula rasa.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.