"Oscar e il Signor V.H.: ridefinizioni identitarie in 'Son of Oscar Wilde' di Vyvyan Holland"

Playing on the allusiveness of the expression “Mr. V.H.” – “The Portrait of Mr. W.H.” being a well-known experiment in fiction, criticism, and essay-writing by Oscar Wilde, and a work edited by Vyvyan himself for one of the several posthumous Wildean reprints (London: Methuen, 1958) – this paper aims at investigating the difficult, at times mournful and lacerating, reassessment of identities enacted by Vyvyan Oscar Beresford Wilde (1886-1967), the second son of the famous Irish author. As suggested by its title, “Son of Oscar Wilde” (1954) proves to be an auto/biographical testimony in which the father’s and son’s lives are inextricably bound up, if in the wake of the tragic separation caused by the imprisonment and following exile of the artist. The text reads like a sort of memoir, or rather what G. Thomas Couser has called a “filial narrative”, a piece of life writing where the “I” would lose much of his ontological and ideological essence if severed from the father figure and, in general terms, the family circle. Here Vyvyan is said to have “laid to rest the bitter memory of those early years by the cathartic effect of recording them for posterity” (Merlin Holland, “Foreword” to “Son of Oscar Wilde” [London: Robinson,1999], p. 1). Eventually driven away from England and, together with his brother Cyril, bereft of his official surname (“Wilde” being replaced by “Holland”, an old family name from Constance Lloyd’s side), Vyvyan painfully sets out to highlight situations and epiphanic moments connected with what the two bewildered little boys perceived in the 1890s as the unutterable and mysterious disappearance of their father. It will thus be interesting to point out the progressive stages of a socio-affective and hermeneutic parable where “Mr. Vyvyan Holland” is seen as turning into a caring son, now mature enough to understand and forgive a pilloried Oscar, as witnessed by one of the most emotionally charged passages in the text: “I remember him as a smiling giant, always exquisitely dressed, who crawled about the nursery floor with us and lived in an aura of cigarette-smoke and eau-de-cologne. During his last years we were constantly in his thoughts; he was always asking Robert Ross to try and find out something about us, how we were and how we were getting on at school” (“Son of Oscar Wilde” [London: Rupert Hart-Davis, 1954], p. 200). /

Giocando sull’allusività dell’espressione “Signor V.H.” – “Il ritratto di Mr. W.H.” è un noto esperimento narrativo e critico-saggistico di Oscar Wilde e un’opera che lo stesso figlio Vyvyan avrebbe curato per una delle varie edizioni postume (London: Methuen, 1958) il presente contributo si propone di indagare il difficile, a tratti accorato e amaro, percorso di ridefinizione identitaria intrapreso da Vyvyan Oscar Beresford Wilde (1886-1967), il secondogenito del celebre autore irlandese. “Son of Oscar Wilde” (1954) si profila sin dal titolo come una testimonianza auto/biografica in cui le vite di padre e figlio inevitabilmente si intrecciano, pur sotto la cifra della tragica e lacerante cesura determinata dalla carcerazione e dall’esilio dell’artista. Il risultato è una sorta di memoir o, meglio, ciò che G. Thomas Couser definirebbe una “filial narrative”, un racconto di vita consustanziale rispetto ai rapporti con la figura genitoriale e la famiglia nel suo complesso: un racconto nel quale Vyvyan avrebbe “esorcizzato i ricordi amari di quegli anni lontani grazie alla loro trasposizione scritta, a futura memoria, e all’effetto catartico che ne è conseguito” (Merlin Holland, “Prefazione” a “Son of Oscar Wilde” [London: Robinson, 1999; traduzione mia). Allontanato dall’Inghilterra e privato, insieme al fratello Cyril, del cognome legittimo (a “Wilde” subentrò “Holland”, da un antico ramo della famiglia materna), Vyvyan ricostruisce qui un cammino tormentato in cui si impegna a mettere a fuoco situazioni, momenti ed epifanie del proprio vissuto, soprattutto in relazione a ciò che ai due bambini inconsapevoli era apparso, negli anni ’90 dell’Ottocento, come il “dileguarsi” ingiustificato, indicibile e misterioso del padre. Sarà dunque interessante individuare le tappe progressive di una parabola (socio-affettiva ed ermeneutica) in cui il “Signor Vyvyan Holland”, proiettandosi nel passato, si trasformerà nel senso autentico del termine in un figlio pronto a comprendere e perdonare l’Oscar condannato alla gogna, come suggerisce uno dei passi dell’opera più emotivamente connotati: “Lo ricordo come un gigante sorridente, sempre vestito con raffinata eleganza, che camminava carponi insieme a noi in camera, avvolto in un’atmosfera densa di fumo di sigaretta e acqua di colonia. Negli ultimi anni della sua vita eravamo sempre presenti nei suoi pensieri; chiedeva di continuo a Robert Ross di portagli qualche notizia su come stavamo e sui nostri progressi scolastici” (Son of Oscar Wilde [London: Rupert Hart-Davis, 1954], p. 200; traduzione mia).