La diffusione delle tecnologie emergenti ha imposto una rimo¬dulazione dei paradigmi comunicativi delle opere d’arte. Sistemi di visualizzazione e in¬terazione sono stati approntati per custodire e condividere la bellezza, ma anche per generare nuove forme di bellezza, nell’alveo di una visual culture sempre più egemone. Tali forme di promozione e (condi)visione della bellezza hanno sia indebolito il limen tra pubblico e privato che modificato la percezione dell’opera d’arte. Si pone a questo punto la domanda se la bellezza veicolata da tali strumenti di valorizzazione, come gli ambienti virtuali immersivi (CAVE), risulti depotenziata o potenziata. La bellezza ‘mediata’ permane nella sua autenticità, amplificata e potenzialmente “di tutti” o diviene altro dal sé originario, moltiplicando la propria aura fino a perderla? In tale contesto, che agisce sui limiti della percezione dell’individuo, l’esperienza visiva avviene nell’ambiente simulato, coinvolgendo l’intero campo visivo del soggetto. La bellezza risulta dunque potenziata dal punto di vista della sua fruizione nella misura in cui l’individuo “è” dentro l’opera, interagisce con il suo simulacro e ne diviene parte integrante. “Vive” l’opera, scegliendo il percorso esplorativo sulla base di proprie scelte. Dal punto di vista della produzione, invece, la fluidità del digitale consente un sistema “collaborativo” in cui “si crea” potenzialmente senza soluzione di continuità. Ogni “esperienza” è dunque diversa e dipende dal modo di recepire gli stimoli sensoriali, offrendo ogni volta nuovi angoli di visione. Ma il potenziamento percettivo offerto dalla tecnologia, di contro, può depotenziare la bellezza: si può scadere nell’autoreferenzialità, anestetizzando la sensibilità del soggetto per iper-stimolazione; il fruitore può uscire disorientato dall’esperienza, perdendo i riferimenti spazio-temporali o, ancora, sovrapponendo - fino a confondere – il mondo simulato con il mondo oggettuale, con il quale ha spesso solo una corrispondenza semantica. Con il rischio di perdere il senso dell’opera e delle sue strutture segniche. In conclusione, tali tecnologie mutano il modo di vedere (e di interagire con) la bellezza, al di là della loro accessibilità, trasformando l’immagine artistica in una entità agente autonoma, che provoca azioni e reazioni. Implicano nuove forme di responsabilità, per gli individui (ideatore, comunicatore, fruitore o interlocutore), per la tecnologia utilizzata e per l’immagine stessa, la quale, sulla base del gioco immaginativo che la considera un organismo vivente, à la Mitchell, “desidera” qualcosa. La bellezza diviene dunque interattiva, performativa, relazionale e chiede l’intervento dell’interlocutore, fruitore e, al contempo, co-produttore di bellezza, grazie a una immaginazione inter e tecno-mediale, in costante evoluzione e “rimediazione” tra le diverse tecnologie in gioco. Tale dialogo tra individui e macchine, oltre a rispondere alle richieste di spettacolarizzazione provenienti dalla società, deve però consentire di percepire quel quid che rende le opere d’arte uniche, pur nella loro “rinnovata” molteplicità. Tali aspetti di potenziamento e depotenziamento della bellezza potranno essere esemplificati con riferimento a casi specifici di applicazioni CAVE su complessi monumentali, singole opere d’arte, esperienze interamente ricreate digitalmente, etc.

BELLEZZA TECNO-MEDIALE, TRA (DE)POTENZIAMENTO, CONDIVISIONE E RESPONSABILITÀ

Veronica Neri
2019-01-01

Abstract

La diffusione delle tecnologie emergenti ha imposto una rimo¬dulazione dei paradigmi comunicativi delle opere d’arte. Sistemi di visualizzazione e in¬terazione sono stati approntati per custodire e condividere la bellezza, ma anche per generare nuove forme di bellezza, nell’alveo di una visual culture sempre più egemone. Tali forme di promozione e (condi)visione della bellezza hanno sia indebolito il limen tra pubblico e privato che modificato la percezione dell’opera d’arte. Si pone a questo punto la domanda se la bellezza veicolata da tali strumenti di valorizzazione, come gli ambienti virtuali immersivi (CAVE), risulti depotenziata o potenziata. La bellezza ‘mediata’ permane nella sua autenticità, amplificata e potenzialmente “di tutti” o diviene altro dal sé originario, moltiplicando la propria aura fino a perderla? In tale contesto, che agisce sui limiti della percezione dell’individuo, l’esperienza visiva avviene nell’ambiente simulato, coinvolgendo l’intero campo visivo del soggetto. La bellezza risulta dunque potenziata dal punto di vista della sua fruizione nella misura in cui l’individuo “è” dentro l’opera, interagisce con il suo simulacro e ne diviene parte integrante. “Vive” l’opera, scegliendo il percorso esplorativo sulla base di proprie scelte. Dal punto di vista della produzione, invece, la fluidità del digitale consente un sistema “collaborativo” in cui “si crea” potenzialmente senza soluzione di continuità. Ogni “esperienza” è dunque diversa e dipende dal modo di recepire gli stimoli sensoriali, offrendo ogni volta nuovi angoli di visione. Ma il potenziamento percettivo offerto dalla tecnologia, di contro, può depotenziare la bellezza: si può scadere nell’autoreferenzialità, anestetizzando la sensibilità del soggetto per iper-stimolazione; il fruitore può uscire disorientato dall’esperienza, perdendo i riferimenti spazio-temporali o, ancora, sovrapponendo - fino a confondere – il mondo simulato con il mondo oggettuale, con il quale ha spesso solo una corrispondenza semantica. Con il rischio di perdere il senso dell’opera e delle sue strutture segniche. In conclusione, tali tecnologie mutano il modo di vedere (e di interagire con) la bellezza, al di là della loro accessibilità, trasformando l’immagine artistica in una entità agente autonoma, che provoca azioni e reazioni. Implicano nuove forme di responsabilità, per gli individui (ideatore, comunicatore, fruitore o interlocutore), per la tecnologia utilizzata e per l’immagine stessa, la quale, sulla base del gioco immaginativo che la considera un organismo vivente, à la Mitchell, “desidera” qualcosa. La bellezza diviene dunque interattiva, performativa, relazionale e chiede l’intervento dell’interlocutore, fruitore e, al contempo, co-produttore di bellezza, grazie a una immaginazione inter e tecno-mediale, in costante evoluzione e “rimediazione” tra le diverse tecnologie in gioco. Tale dialogo tra individui e macchine, oltre a rispondere alle richieste di spettacolarizzazione provenienti dalla società, deve però consentire di percepire quel quid che rende le opere d’arte uniche, pur nella loro “rinnovata” molteplicità. Tali aspetti di potenziamento e depotenziamento della bellezza potranno essere esemplificati con riferimento a casi specifici di applicazioni CAVE su complessi monumentali, singole opere d’arte, esperienze interamente ricreate digitalmente, etc.
2019
Neri, Veronica
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11568/943638
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